Non volevo leggerlo tutto, ma alla fine sono stato trascinato: si tratta del libro dedicato ai vecchi saggi di Marcel Mauss scritti tra l’inizio del Novecento e gli anni trenta (Teoria della magia, Saggio sul dono, La categoria di persona).
Al pari dei saggi è interessante l’introduzione di Levi-Strauss, che a mio parere fa una precisazione veramente illuminante a proposito della differenza tra senso e significato. Osserva che il simbolismo nell’uomo non è nato progressivamente ma tutto d’un tratto, cioè improvvisamente, nel corso dell’ominazione. all’uomo la totalità del mondo è apparso come un cosmo dotato di senso:”quali che siano stati il momento e le circostanze della sua apparizione nella vita animale il linguaggio è nato necessariamente tutto d’un tratto. E’ impossibile che le cose abbiamo cominciato a significare progressivamente. Improvvisamente(…) si è verificata un passaggio da uno stadio in cui niente aveva un senso, a un altro. in cui ogni cosa ne possedeva uno” (C. Levi-Strauss). Da questo punto di vista tra Simbolismo e Conoscenza, tra Senso e significato c’è una radicale inadeguazione, perché il primo è immediato, totale e improvviso mentre solo la seconda è sottoposta a una elaborazione lenta e progressiva. “Possiamo perciò attenderci -dice Levi-Strauss- che il rapporto tra simbolismo e conoscenza conservi caratteri comuni nelle società non industriali e nelle nostre, anche se con accentuazioni diverse. Dappertutto altrove, e costantemente ancora presso di noi (…) permane una situazione fondamentale che dipende dalla condizione umana. L’uomo dispone fin dalla sua origine di una integralità di significante , che lo pone in imbarazzo quando deve assegnarlo a un significato , dato come tale, senza essere, per questo, conosciuto”. Per Levi-Strauss la nozione di mana [simile a quella di sacro n.m.] rappresenta esattamente quel significante fluttuante che costituisce la servitù di ogni pensiero compiuto. Per Levi-Strauss la nozione di mana degli antropologi è simile a quella di fonema zero dei linguisti: la sua funzione è “quella di opporsi all’assenza di significazione senza comportare per se stessa nessuna significazione particolare” [Cfr. post su ignoranza].

Arriviamo a Mauss che nelle conclusioni del Saggio sul dono fa una serie di osservazioni sull’estensibilità del sistema del dono-scambio alle nostre società, attraverso il sistema delle professioni liberali. Sostiene Mauss, che dicono fosse un socialista: “Il sistema che proponiamo di chiamare delle prestazioni totali, da clan a clan -quello in cui individui e gruppi si scambiano ogni cosa tra loro- costituisce il più antico sistema economico e giuridico che ci sia dato di constatare e concepire. Ora, fatte le dovute proporzioni , tale sistema è precisamente dello stesso tipo di quello verso il quale vorremmo vedere dirigersi le nostre società.(…) E’ necessario che l’individuo lavori . Occorre che egli sia costretto a contare su se stesso piuttosto che sugli altri. D’altro canto occorre che egli difenda i propri interessi, personalmente e in gruppo. L’eccesso di generosità e il comunismo sarebbero per lui e per la società non meno nocivi dell’egoismo dei nostri contemporanei e dell’individualismo delle nostre leggi. (…) Nelle professioni liberali delle nostre grandi nazioni operano già a un certo livello una morale e un’economia del genere. L’onore, il disinteresse, la solidarietà corporativa non sono in esse una vana parola , né si rivelano in contrasto con le necessità del lavoro. Umanizziamo anche gli altri gruppi professionali e perfezioniamo ciò che già esiste in questo campo.”

Per Mauss solo l’abbozzarsi di fenomeni di differenziazione -di rango, d’età. di nobiltà- può dar luogo alla formazione dei nomi. Mauss ricorda che Jaspers aveva chiamato “età assiale” un periodo che occupa circa il primo millennio a. C., nel quale si stabilisce una cesura tra le antiche tradizioni etno-illetterate e le culture la cui visione del mondo ha assunto da un lato una dimensione universalistica e dall’altro un’attenzione spiccata per la persona: si affievolisce la produzione mitologica (tipica delle religioni etniche) e si affermano dottrine i cui principi morali e religiosi manifestano una più marcata tensione universalistica. Per Mauss anche prima dell’età assiale un grande insieme di società è giunto alla nozione di personaggio [attraverso le maschere], di ruolo svolto dall’individuo tanto nei drammi sacri come nella vita famigliare. I latini sembrano essere quelli che hanno, sia pure parzialmente, messo a punto la nozione di persona il cui nome è rimasto esattamente quello latino: nel diritto dicono i giuristi romani ci sono persone, cose e azioni. La morale volontaristica degli stoici arricchì poi la nozione romana di persona. Gli stoici estesero il termine persona all’individuo nella sua nuda natura , tolta ogni maschera, e nello stesso tempo conservarono il senso dell’artificio: il senso di ciò che è intimo e di ciò che è il personaggio. Quando Epitteto scriveva “scolpisci la tua maschera”, definisci il tuo “personaggio”, proponeva ciò è diventato il nostro esame di coscienza. Sono i cristiani che hanno fatto della persona morale un’entità metafisica. La nostra nozione di persona umana è fondamentalmente ancora quella cristiana. Il passaggio dalla nozione di persona in quanto uomo rivestito di uno status , alla nozione di uomo e di persona umana tout court in epoca cristiana. Cassiodoro finisce col dire: “persona: substantia rationalis individua”, cioè la personal è una sostanza razionale indivisibile, individuale.
Dice Mauss: “Da una semplice mascherata alla maschera, da un personaggio a una persona, a un nome, a un individuo, da quest’ultimo a un essere portatore di un valore metafisico e morale, da una coscienza morale a un essere sacro, da questo a una forma fondamentale del pensiero e dell’azione [= una categoria]