Filosofia della valutazione

Valutazione

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Per Abranavel, consulente della nota agenzia americana McKinsey, “i parassiti oggi sono i poveri e non i ricchi” (pag. 117) e si pone il problema della misurazione della povertà “assoluta”, distinguendola dalla più abituale misura della povertà relativa calcolata come stato di chi non possiede un reddito pari almeno al 60% di quello medio. Il modello delle società meritocratiche (=ordoliberiste?) ammette la disuguaglianza sociale e incentiva la mobilità. Il nuovo welfare/no profit/assistenza sociale dovrebbe differenziarsi dalla carità tradizionale che protegge gli individui indipendentemente dal loro sforzo di migliorare le proprie condizioni: l’unica eguaglianza sociale accettabile è quella attraverso la mobilità sociale [individuale], che può essere stimolata dall’eguaglianza di opportunità e dal cosiddetto “capitale sociale degli individui”, vale a dire dall’insieme di relazioni sociali, reputazione e contatti che una persona può usare come facilitatore dei propri contatti sociali.

Per Abranavel la rivoluzione meritocratica del 900 ha fatto leva sull’educazione come strumento principale per realizzare le pari opportunità [e quindi la mobilità sociale]. Negli ultimi 60 anni gli obiettivi dei sistemi educativi sono radicalmente cambiati (per esempio parlare di alfabetizzazione è per lui pura ideologia, bisogna insegnare invece per esempio la redazione di un rapporto chiaro e conciso per il proprio superiore). La scuola non dovrebbe occuparsi tanto di istruzione quanto di educazione, vale a dire di sviluppo e di leve di sviluppo delle capacità sociali, cognitive (problem solving) e culturali (valori?) [non a caso a pag 243 il ’68 viene categorizzato come “grande nemico del merito”]: da “istruire tutti allo stesso modo” si dovrebbe passare a “educare secondo il potenziale di ciascuno”In questo quadro non è tanto importante la formazione delle persone, quanto il loro sviluppo, cioè la capacità di sviluppare il loro potenziale [per esempio la migliore definizione di leader per Abranavel è la seguente: “colui che prima riesce a convincere i colleghi e i collaboratori a fare cose che essi non vogliono fare e poi li aiuta a farle”. Non a caso Abranavel ricorda a questo punto i criteri che la RAF usava per classificare i piloti durante la battaglia d’Inghilterra. Le categorie erano tre: A (gli “assi” dell’aviazione), B (piloti meno bravi, da formare in continuazione e da far guidare dai piloti A), infine gli C (quelli che potevano causare danni agli altri e quindi dovevano essere lasciati a terra il più possibile). Abranavel sostiene una giusta (sic!) diversità di valori: le persone dovrebbero essere individualiste ma raccolte in piccole comunità spontanee (≠clan) [= élite?], il familismo per esempio oppone l’appartenenza al mercato, opponendosi per Abranavel alla società meritocratica: anche Napoleone e Hegel avevano capito che Stato e famiglia erano istituzioni antagoniste. Non a caso –sostiene Abranavel- in USA le famiglie cambiano casa per avvicinarsi alle scuole migliori mentre da noi avviene esattamente il contrario scegliendo la scuola solo per il motivo che sono vicine alla località di residenza. In Italia si partecipa molto di più alle assemblee di condominio che agli OOCC della scuola: pure questo risulta significativo.

Per Abranavel il numero degli studenti è il principale strumento di valutazione del merito delle scuole. Il miglioramento dovrebbe essere messo nelle mani di una DELIVERY UNIT (=UNITà DI CONSEGNA, orientata a ottenere risultati a breve). Solo con i test si possono ottenere dati di dettaglio che permettono di distinguere i team migliori dai peggiori, ma in ogni caso l’eccellenza e non l’arroganza deve essere caratteristica della delivery unit. La delivery unit è molto simile allo staff di pianificazione e controllo in un’azienda, che stabilisce le PRIORITA’ DI INTERVENTO e gli OBIETTIVI D’AZIONE (sempre SPECIFICI, MISURABILI, RAGGIUNGIBILI, REALISTICI e LIMITATI NEL TEMPO). L’enfasi deve essere messa non sulle intenzioni (o policyes), ma sulle prestazioni (o performance). La delivery unit non è delegabile da parte dei dirigenti, perché la presenza del leader motiva le persone che presentano azioni o risultati. La delivery unit è l’unità del dirigente che deve dedicarle tempo, leggerne le carte, partecipare alle riunioni di lavoro con le persone coinvolte e motivarle.

Valutare il merito degli insegnanti e delle scuole italiane sarà un compito epocale che per partire dovrà raccogliere un database di milioni di studenti e di decine di migliaia di scuole. I disastrosi risultati del test PISA-OCSE in lettura, matematica, scienze mettono sull’avviso. Anche nelle scuole per Abranavel si possono praticare approcci di “quasi mercato”, se il merito del sistema è reso misurabile e trasparente: “la luce del sole è il migliore dei disinfettanti”. Le scuole migliori sono quelle in cui un’alta percentuale di alunni ha risultati tra 4 e 5 (più che accettabile e ottimo). Le medie quelle in cui un alta percentuale di studenti è a livello 3 (= sufficiente), le problematiche quelle in cui la maggioranza degli studenti è a livello 2 (appena sufficiente) e le disastrose, là dove più del 50% degli studenti è al livello 1 (= chiaramente insufficiente). Le scuole meno buone, che dimostreranno di avere efficaci programmi di miglioramento , potranno ricevere per un certo periodo contributi straordinari, che verranno sospesi se non otterranno i risultati previsti. Gli obiettivi di miglioramento potranno essere misurati anno per anno grazie al test nazionale standard: bisogna trovare il modo di misurare merito e performance. Valutare il merito di una scuola vuol dire valutare il merito (= la qualità) degli insegnanti, che si può valutare solo valutando la qualità degli studenti [bisogna ragionare attentamente sulle cause di performance inaccettabile]. I migliori sistemi educativi del mondo sono quelli che hanno i migliori insegnanti: nel settore dell’istruzione non è tanto importante quanto si spende , ma la qualità degli insegnanti. Il testing non può essere assolutamente l’unica misura di merito per gli studenti: bisogna valutarne anche la personalità, l’autodisciplina, i valori morali. Scuole “accountable” cioè responsabilizzate sui risultati degli studenti vs. autonomia irresponsabile: pro strategie che producono valore complessivo [e non solo estrazione di valore].

La società italiana sarebbe l’unica che unisce l’alta disuguaglianza alla bassa mobilità sociale e Fukuyama attribuisce questo risultato al fatto che l’Italia è una “società senza fiducia” [e la giustizia sarebbe il mezzo fondamentale per aumentare la fiducia]. In Italia chi sbaglia non paga e chi merita non viene premiato. Quella italiana è una società che non cresce e la società più ineguale e ingiusta del mondo. Oggi la mobilità della società italiana è la più bassa del mondo delle economie avanzate. In più la P.A. italiana gode fama di essere tra le peggiori del mondo industrializzato. Per rendersi conto della gravità della situazione italiana e del suo rapido deterioramento Abranavel ricorda che se gli italiani qualche tempo fa erano considerati “disordinati, inaffidabili ma creativi “ ora sono per lo più considerati “tristi, immobili e vecchi”. Gli stereotipi possono essere messi in dubbio solo raggiungendo nei vari settori e casi una massa critica di rappresentatività che contrasta gli stereotipi stessi. Quella italiana è una società che non cresce e la società più ineguale e ingiusta del mondo.

Dopo il miracolo economico dei distretti industriali (boom italiano degli anni ’50, ’60 e ’70) in Italia si è sviluppata un’economia post-industriale dei servizi. Oggi nelle economie avanzate l’occupazione si distribuisce per l’80% nei servizi e solo per il 20% nell’industria. Nei servizi l’occupazione è distribuita per il 16% nel commercio, per il 7% nel turismo, per l’8% nei servizi avanzati alle imprese (tipo Microsoft) e infine per il 18% nei servizi per imprese e consumatori. Sembra oggi che il consumo sia una priorità rispetto alla produzione, nel senso che produzione e lavoro sono un mezzo per il consumo e non un obiettivo in sé. Resta però vero per Abranavel che il consumo è l’obiettivo dell’economia e non della vita.

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La filosofa francese Angelique del Rey fa notare anzitutto come lo Stato sociale nasca proprio come correttivo alla meritocrazia [non come correttivo alla carità tradizionale, come sembra sostenere Abranavel?]. Sostiene infatti che chi critica le nuove valutazioni manageriali in nome delle “vecchie” valutazioni burocratiche (quelle che assegnavano il posto nella società salariale fordista in base alla “qualifica” lavorativa ottenuta), lo fa di solito difendendo la vecchia meritocrazia contro l’attuale caricatura rappresentata dalle valutazioni “in base al merito” di stampo neoliberista. Non bisogna dimenticare tuttavia, per stare questo esempio, che lo Stato Sociale, lungi dall’essere basato su valori di merito, si è al contrario storicamente costituito come un CORRETTIVO alla meritocrazia, dato che il principio della libertà di lavoro ha dato origine a uno sviluppo di disuguaglianze e ingiustizie senza precendenti. In altri termini, per quanto si possa ritenere deplorevole che la valutazione favorisca la competizione e per quanto ci si possa illudere che “in passato” le cose andassero diversamente, QUESTI VALORI (competizione e individualismo) SONO INSCRITTI NELL’ATTO DI NASCITA DELLA VALUTAZIONE. I legami di appartenenza (la territorializzazione) vengono progressivamente distrutti, mentre l’individualismo avanza, come conseguenza diretta della gestione burocratica dei problemi sociali.

Crisi del paradigma umanistico vs paradigma utilitaristico; paradigma razionalista o lineare vs paradigma razionale o complesso o “organico” (Morin) (razionalismo vs razionalità).

Nonostante che le critiche alla valutazione vengano percepite come irresponsabili, la filosofa continua a farne, pur opponendosi al rifiuto della valutazione nella ricerca di una dimensione collaborativa capace di smorzarne la dimensione di puro individualismo e competitività.

La competenza non può essere misurata ed è una capacità frutto di formazione.

La Del Rey elenca gli effetti perversi della valutazione manageriale post-moderna, che diventa paradossale perché, cercando l’efficienza a tutti i costi, finisce per generare inefficienza:

  1. la scomparsa delle categorie statistiche dietro la loro matematizzazione. Le cifre della disoccupazione, della delinquenza, delle spese sanitarie o del successo scolastico dei giovani nel programma PISA sembrano parlare da sé, producendo automaticamente un giudizio prima ancora di ogni valutazione;
  2. blocca l’innovazione e favorisce la routine, perché impedisce il conflitto circa i criteri di un lavoro ben fatto. Non si riesce a far emergere il comune attraverso il conflitto; alla statistica si affida il compito di creare “oggetti che reggono” [=dati di tipo particolare]
  3. produce effetti di normalizzazione, perché i giudizi vanno assumendo pian piano le fattezze di una somma di azioni: un buon ricercatore significa un certo numero di pubblicazioni, un servizio pubblico di qualità significa un certo numero di interventi realizzati, [un buon studente significa uno studente a cui è stato insegnato soprattutto come superare i test INVALSI].
  4. produce desideri di normalizzazione, nel senso che la valutazione disciplinare (nel senso di Focault: la paura di essere visti spinge a disciplinare se stessi) produce effetti sui corpi, sui desideri, fa sì che qualcuno si senta anormale, o si metta in competizione con gli altri, o ancora pensi che la sua verità sia qualcosa di esterno. Valutato ergo sum. Dietro il successo della valutazione c’è in gioco la nostra identità come soggetto post-moderno, il mondo della soggettivizzazione. Non si presume più che il soggetto post-moderno sia costituito dal tempo, che conferisce profondità al suo essere attraverso gli strati del suo vissuto: il vissuto viene visto come riluttanza a innovare, ad adattarsi , piuttosto che come condizione per acquisire conoscenza ed esperienza [l’Erfahrung di Benjamin?]. Sulla colonizzazione dei processi vitali; conoscenza lineare o razionalizzazione vs conoscenza situazionale o razionalità (che richiede tempi lunghi) (Cfr. Morin pag.154)
  5. la valutazione produce l’individuo, invece che risultati: misurazioni scollegate dalla realtà che non misurano altro se non la capacità del reale di conformarsi alla misura;
  6. le nuove forme di valutazione creano sofferenza, nel senso che ignorano la differenziazione tra uomini e macchine (che già Kant faceva) e producono pericoli inediti per la vita organica. La società o l’azione sociale funziona in modo complesso o “organico”, mentre l’ideologia manageriale vuole ricostruire la vita: dal vivente all’artefatto [tratti comuni forniti dal calcolo (biopotere) vs modo di vita in comune (gruppi di appartenenza). Sulla sofferenza provocata da una valutazione che rifiuta le contraddizioni, la negatività, la perdita e l’inutilità: flessibilizzazione vs territorializzazione. L’azione sociale è dinamica, interattiva e conflittuale.

Sulla valutazione ex-ante, simile a uno studio di fattibilità, dove gli obiettivi d’azione acquistano un peso diverso in base alle priorità d’intervento. Il neoliberismo, per “gestire la crisi” promuove l’idea che la scarsità e la concorrenza rendano necessario stabilire priorità. Pro doppia valutazione (valutazione basata su voti + valutazione basata su competenze): la valutazione democratica è valutazione pluralista. Il pericolo della valutazione è la de-territorializzazione della conoscenza e del giudizio. La valutazione deve emergere come frutto di un punto di vista (valutazione partecipativa).

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