
20- Le malattie infettive sono dappertutto . Rappresentano una specie di collante naturale, che lega un individuo all’altro e una specie all’altra all’interno di quelle complesse reti biofisiche che definiamo ecosistemi. Il meccanismo dell’infezione è uno dei processi fondamentali studiati dagli ecologi, come la predazione, la competizione, la decomposizione, la fotosintesi. I predatori sono bestie più o meno grandi che consumano le prede dall’esterno. I patogeni (cioè tutti gli agenti causa di malattie, virus compresi) sono per contro bestie assai più piccole che le divorano da dentro. Le malattie infettive sono un argomento triste e terribile, certo, ma in condizioni ordinarie sono eventi naturali, come un leone che sbrana uno gnu o un gufo che ghermisce un topo./ Però le condizioni non sempre ordinarie/ Come i predatori anche i patogeni hanno le loro prede preferite, abituali bersagli dei loro attacchi. E proprio come un leone, abbandonando i suoi normali comportamenti può uccidere una mucca anziché uno gnu, o un essere umano al posto di una zebra, anche i patogeni possono scegliere un altro bersaglio. Sono incidenti, aberrazioni ma accadono. Le circostanze possono cambiare e con esse le esigenze e le opportunità. Quando un patogeno fa il salto da un animale a un essere umano e si radica nel nuovo organismo come agente infettivo, in grado talvolta di causare malattia o morte, siano in presenza di una zoonosi.
42-C’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra [Marburg,Lassa, Ebola,HIV-1, HIV-2, Hendra,Nipah, febbre del Nilo occidentale, Sars, influenza suina ecc.] e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute delle nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. Sommandosi, le loro conseguenze si mostrano sotto forma di una sequenza di malattie nuove, strane e terribili, che emergono da ospiti inaspettati e che creano serissime preoccupazioni e timori per il futuro negli scienziati che le studiano. Come fanno questi patogeni a compiere il salto dagli animali agli uomini e perché sembra che ciò avvenga con maggiore frequenza negli ultimi tempi? Per metterla nel modo più piano possibile: perché da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato. Ci sono tre elementi da considerare. / 43- Uno. Le attività umane sono causa della disintegrazione ( e non ho scelto a caso questa parola) di vari ecosistemi a un tasso che ha le caratteristiche del cataclisma. Tutti sappiamo come ciò avvenga a grandi linee: la deforestazione, la costruzione di strade e infrastrutture , l’aumento del terreno agricolo e dei pascoli, la caccia alla fauna selvatica (…), l’attività mineraria , l’aumento degli insediamenti urbani e il consumo del suolo , l’inquinamento, lo sversamento di sostanze organiche nei mari, lo sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche, il cambiamento climatico, il commercio internazionale dei beni la cui produzione comporta uno o più dei problemi sopra descritti e tutte le attività dell’uomo “civilizzato” che hanno conseguenze sul territorio. Stiamo, in poche parole, sbriciolando gli ecosistemi. Non è una novità recentissima. Gli esseri umani hanno praticato gran parte di queste attività per molto tempo, anche se a lungo con l’ausilio di strumenti semplici. Oggi però siamo più di sette miliardi e abbiamo tra le mani tecnologie moderne , il che rende il nostro impatto ambientale globale insostenibile. Le foreste tropicali non sono l’unico ambiente in pericolo, ma sono di sicuro il più ricco di vita e il più complesso. In questi ecosistemi vivono milioni di specie, in gran parte sconosciute alla scienza moderna , non classificate o a mala pena etichettate e poco comprese. /Due. Tra queste milioni di specie ignote ci sono virus, batteri, funghi, protisti e altri organismi, molti dei quali parassiti. Gli specialisti oggi usano il termine “virosfera” per identificare un universo di viventi che probabilmente fa impallidire per dimensione ogni altro gruppo. Molti virus per esempio abitano le foreste dell’Africa centrale, parassitando specifici batteri, animali, funghi o protisti e questa specificità limita il loro raggio d’azionee la loro abbondanza. (…)44- Nella maggioranza dei casi dunque sono parassiti benevoli, che non riescono a vivere fuori del loro ospite e non fanno troppi danni. Ogni tanto uccidono una scimmia o un uccello qua o là, ma le loro carcasse vengono rapidamente metabolizzate dalla giungla. Gli uomini non se ne accorgono quasi mai./Tre.Oggi però la distruzione degli ecosistemi sembra avere tra le sue conseguenze la sempre più frequente comparsa di patogeni in ambiti più vasti di quelli originari. Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi ad esser diventati molesti, visibili e abbondanti. “Se osserviamo il pianeta dal punto di vista di un virus affamato – scrive lo storico W. H. McNeill- o di un batterio, vediamo un meraviglioso banchetto con miliardi di corpi umani disponibili, che fino a poco tempo fa erano circa la metà di adess , perché in venticinque, ventisette anni siamo raddoppiati di numero. Siamo un eccellente bersaglio per tutti quegli organismi in grado di adattarsi quel che basta per invaderci”. I virus, soprattutto quelli di un certo tipo, il cui genoma consiste di RNA e non DNA e dunque è più soggetto a mutazioni , si adattano bene e velocemente a nuove condizioni.
46- [Spillover (= “tracimazione”) indica il momento in cui un patogeno passa da una specie ospite a un’altra]
512-[Outbreak = “esplosione] L’entomologo A. A. Barryman ha affrontato il problema qualche anno fa in un saggio intitolato The theory and classification of outbreaks dove parte proprio dalle basi: “Dal punto di vista ecologico , un’esplosione si può definire come un estremo aumento della numerosità di una determinata specie che avviene in un intervallo di tempo relativamente breve.” Prosegue poi con lo stesso tono distaccato “Da questo punto di vista, la più seria esplosione verificatasi sul pianeta terra è quella della specie Homo sapiens.” (…) / E i numeri gli danno ragione . Nel 1987, anno di pubblicazione del saggio, al mondo c’erano cinque miliardi di persone : ci siamo moltiplicati di un fattore 333 dall’invenzione dell’agricoltura, di un fattore 14 dalla fine della pandemia di peste nel Trecento, di un fattore 5 dalla nascita di Darwin e durante la vita di A. Berryman ci siamo praticamente raddoppiati.(…) /513- Si può spiegare il concetto anche in un altro modo : dall’epoca della nostra origine come specie, circa duecentomila anni fa, all’anno 1804 la popolazione mondiale è cresciuta fino a raggiungere un miliardo di abitanti . Tra il 1804 e il 1927 è aumentata di un altro miliardo; nel 1960 ha raggiunto i tre miliardi; e da allora è cresciuta di un miliardo ogni 13 anni circa. Nell’ottobre del 2011 eravamo sette miliardi ma anche questo traguardo è volato via , come la scritta “Welocome to Kansas” intravista sull’autostrada.
150-Kermak e McKendrick [due matematici scozzesi] descrissero [ in un articolo del 1927] le interazioni fra tre fattori durante una tipica epidemia:il tasso di infezione, il tasso di guarigione e quello di mortalità. Ipotizzando che la guarigione dalla malattia conferisse una immunità a vita( come accade per esempio col morbillo) i due riassunsero efficacemente la dinamica del fenomeno: “(…) Col progredire dell’epidemia, si riduce sempre più il numero dei membri della comunità non ancora infettati.”/ Sembra la descrizione a parole di un tipico fenomeno governato da un’equazione differenziale, e infatti così è. Dopo un turbine di calcoli e di deduzioni matematiche, Kermak e McKendrick scrissero le tre equazioni fondamentali che descrivono le dinamiche delle tre classi di individui coinvolti: i suscettibili, indicati con S, gli infetti I e i guariti o “rimossi” R (che in inglese sta per recovered). Nelle epidemie la gente entra e esce da questi tre gruppi secondo lo schema S-> I -> R; i morti non rientrano nello schema, perché non fanno più parte delle dinamiche della popolazione. Man mano che i suscettibili entrano in contatto con la malattia e si infettano , man mano che i malati guariscono (ricevendo l’immunità) o spariscono, la consistenza numerica delle varie classi muta nel tempo , ed è per questo che è necessario il calcolo differenziale. Io avrei dovuto di sicuro prestare più attenzione alle lezioni di analisi matematica, ma fino a dR/dt=yI ci arrivo, e dovreste farcela anche voi. Significa che la variazione del numero di guariti, nell’unità di tempo è uguale al numero degli infetti per il tasso medio di guarigione (indicato con y). Le equazioni per le classi S e I sono simili- apparentemente esoteriche ma in realtà piene di buon senso. Questa proposta teorica divenne nota come “modello SIR”: E’ uno strumento per studiare l’insorgere delle epidemie ancora oggi usato. / Le epidemie prima o poi finiscono. Perché? Si chiesero Kermack e McKendrick. /”Uno dei principali problemi, in epidemiologia, è determinare se la cessazione avvenga solo quando non sono rimasti individui suscettibili o se i vari tassi di infezione, guarigione e mortalità si possano combinare in modo da portare alla fine dell’epidemia, anche se nella popolazione non malata sono ancora presenti individui suscettibili”. /Nel loro articolo i due ricercatori cercano di convincere il lettore che la seconda possibilità è quella giusta , cioè che un’epidemia può esaurirsi anche perché scatta un certo meccanismo nel delicato gioco tra infezioni, morti e guarigioni (con immunizzazione).
154- [Nelle parole di McDonald] il “numero riproduttivo di base” rappresenta “ il numero di infezioni che si distribuiscono in una comunità come diretta conseguenza della presenza in essa di un singolo caso primario non immune”. Più precisamente, è il numero medio di infezioni secondarie conseguenti all’introduzione di un individuo infetto in una popolazione di individui tutti non immuni, dunque suscettibili. Il parametro individuato da McDonald era cruciale –e potenzialmente fatale. Se il numero riproduttivo è minore di 1 (di 1,0 per la precisione) il focolaio si insabbia; se è maggiore di 1, il contagio si espande. E se è molto maggiore di 1,0 allora bang! ecco l’epidemia.
280- E come tutti gli equilibri biologici , sono situazioni temporanee, provvisorie, contingenti. Quando avviene uno spillone il virus entra in un nuovo ospite e la tregua si rompe: la reciproca tolleranza non è trasferibile, l’equilibrio si spezza , si instaurano nuove relazioni. Una volta entrato in un organismo a lui non familiare , il virus può trasformarsi in un innocuo passeggero, una moderata seccatura o una piaga biblica. Dipende.
300- Osserviamo che la maggioranza delle pandemie del passato (ad eccezione della peste) sono di origine virale. Oggi l’uso dei moderni antibiotici è largamente diffuso e i batteri ci fanno molto meno paura; dunque è altamente probabile che anche la prossima sarà causata da un virus. /Per capire perché certe infezioni diventino un serio problema , altre un tragico problema e altre ancora si manifestino a intermittenza o svaniscano senza fare danni , è necessario considerare due aspetti della trasmissione di un virus: la trasmissibilità e la virulenza. Sono parametri fondamentali e decisivi, l’equivalente medico di massa e velocità. Assieme a pochi altri fattori , determinano in gran parte l’evoluzione e gli effetti di un focolaio infettivo. Non sono valori costanti, ma relativi e in continua variazione. Riflettono le interconnessioni tra virus e ospite e in generale tra virus e ambiente: Misurano la situazione complessiva , non solo la presenza di microbi.
315- [Per Anderson e May ]la virulenza di un parassita “si deve «solitamente studiare assieme al tasso di trasmissione e al tempo di recupero degli ospiti che non soccombono all’infezione ». E in effetti queste due variabili compaiono nel loro modello insieme a tre altre: la virulenza (definita come numero di morti provocati direttamente dal patogeno), la mortalità generale della popolazione per altre cause e la consistenza (mutevole) della popolazione ospite. Come misura più affidabile del successo evolutivo presero il numero riproduttivo di base, il cruciale parametro R0./Dunque c’erano cinque variabili fondamentali , di cui andavano capiti gli effetti complessivi per determinare la dinamica della popolazione. L’equazione risultante è semplice. (…)
R0 = βN/(α+b+ν)
A parole, il successo evolutivo di un patogeno è direttamente proporzionale al tasso di trasmissione e inversamente proporzionale a quanto è letale , alla velocità di guarigione degli infettati e al tasso di mortalità generale della popolazione. (…) /316- La regola d’oro di un parassita di successo è un po’ più complicata di “non uccidere il tuo ospite” e anche di “non tagliare i ponti prima di averli attraversati”. La regola d’oro è proprio R0= βN/(α+b+ν).
387- Il simbolo β a destra del segno di uguale rappresenta il tasso di trasmissione. E’ un moltiplicatore piazzato in posizione strategica , al numeratore della frazione. Ciò significa che grandi variazioni di β comportano cospicue variazioni di R0 , e come ricorderete, R0 è la misura della probabilità che scoppi o meno un’epidemia o addirittura una pandemia.
528- Moriremo tutti?