Saggi sulla critica della cultura (1937-1953)

5Il concetto di libera manifestazione dell’opinione, anzi della stessa libertà spirituale nella società borghese, su cui si basa la critica della cultura, possiede la sua peculiare dialettica. Giacchè mentre lo spirito si sottraeva alla tutela teologico feudale in forza della progressiva socializzazione dei rapporti tra gli uomini sempre più è caduto sotto un controllo anonimo ad opera delle condizioni esistenti, controllo che non solo gli è imposto esteriormente ma ha finito per con penetrarlo nella sua sostanza. Nello spirito autonomo quelle condizioni materiali si impongono con la stessa spietatezza con cui prima gli ordinamenti eteronomi si imponevano allo spirito vincolato, non solo lo spirito tende alla sua commerciabilità sul mercato con ciò riproducendo le categorie sociali predominanti, ma vien obiettivamente assomigliando a ciò che esiste anche quando soggettivamente non si trasforma in merce. Sempre più strettamente le maglie della totalità si annodano sul modello dell’atto di scambio. Sempre minore lo spazio concesso alla coscienza singola sempre più radicale la sua preformazione, così che le viene tolta, a priori per così dire, la possibilità della differenza, che degenera semplice sfumatura nella monotonia dell’offerta. Al tempo stesso l’apparenza di libertà rende la presa di coscienza della propria non libertà incomparabilmente più difficile di quanto non fosse la contraddizione con l’aperta mancanza di libertà e rafforza in tal modo la dipendenza. Tali momenti in una con la selezione sociale dei portatori dello spirito risultano nella regressione di questo. La sua auto responsabilità diventa, secondo la tendenza preponderante nella società, finzione. Della sua libertà esso sviluppa veramente il lato negativo, l’eredità della situazione anarchico monadologica, l’irresponsabilità. [-> Paradossalmente Karl Kraus reclamava la censura contro gli imbrattacarte]

7- Vera è la cultura [=opere d’arte + filosofie] solo quando è implicitamente critica, e lo spirito che di ciò si dimentichi si vendica di se stesso nei critici che ha allevato / La complicità della critica della cultura con la cultura non sta solo nel solo atteggiamento mentale del critico. Essa discende obbligatoriamente piuttosto dal rapporto del critico con ciò di cui tratta. Facendo della cultura il suo oggetto egli la obiettivizza un’altra volta. Laddove il senso proprio della critica è la sospensione di ogni riduzione ad oggetto. Non appena essa stessa si coagula in “beni culturali” e nella loro abominevole razionalizzazione filosofica, i “valori culturali”, già ha attentato alla sua ragion d’essere. Nella distillazione di tali valori che non a caso riecheggiò nel linguaggio dello scambio delle merci, essa cede alle ingiunzioni del mercato punto già nell infervora mento per le culture straniere essa trepida dietro al pezzo raro, nel quale sia possibile investire denaro. Se la critica della cultura su su fino a valle krissi attenuata sia tenuta al conservatorismo, cioè avvenuto in quanto ha preso asus occulta guida un concetto di cultura che mira ad un possesso saldo e al riparo da oscillazioni congiunturali nell’era del tardo capitalismo. Tale concetto si assevera sottratto a quest’ultimo quasi a garantire, nel bel mezzo della dinamica universale, un’universale sicurezza. Il modello critico della cultura oltre al critico d’arte è il collezionista tutto teso a deprezzare. In generale il critico della cultura rammenta il gesto del mercanteggiare, qualcosa in fondo di molto simile a ciò che fa l’esperto quando contesta l’autenticità di un quadro o lo colloca fra le opere minori del suo autore. 8- Si deprezza, per ottenere di più, Innegabilmente quella con cui il critico della cultura a che fare in quanto valutatore è una sfera imbrattata di valori culturali, quand’anche contro il traffico della cultura levi le più zelanti delle declamazioni. Alla sua posizione di contemplatore di cultura ineriscono operazioni quali l’esame analitico, lo sguardo d’insieme, il ponderare, il trascegliere: questo gli garba quest’altro no e lo respinge. La sua sovranità appunto, la pretesa di un più profondo sapere di fronte all’oggetto, la separazione del concetto dalla sua cosa grazie all’indipendenza del giudizio minaccia di abbandonarsi alla figura reificata della cosa, richiamandosi la critica della cultura ad una mera collezione di idee messe per così dire in mostra e feticizzando categorie isolate quali spirito, vita, individuo. / Il feticcio supremo [del critico/collezionista/valutatore] è però il concetto di cultura come tale. Giacché nessuna autentica opera d’arte e nessuna vera filosofia si è mai esaurita in sé stessa secondo il suo senso, secondo il suo essere in sé. Sempre esse sono state in rapporto col reale processo di vita della società da cui si separavano. Proprio il rifiuto del nesso colpevole con la vita che cieca e indurita si riproduce, proprio il tener fermo all’indipendenza e all’autonomia, alla separazione dal vigente regno dei fini implica, come inconsapevole elemento almeno, il rinvio a una situazione in cui la libertà sia realizzata. / Che la cultura europea nella sua estensione sia degenerata a mera ideologia di ciò che è approdato al consumo e oggi viene prescritto alle popolazioni da manager e psicotecnici, discende dal mutamento della sua funzione rispetto alla prassi materiale, dalla rinuncia a intervenire.

9- Solo in quanto neutralizzata e reificata [la cultura], essa si lascia idolatrare. IL FETICISMO TENDE ALLA MITOLOGIA [-> “Il mito è ciò che è oscuro ed evidente a un tempo e che perciò è esentato dal lavoro del concetto” Dialettica dell’illuminismo] / L’isolamento dello spirito dalla produzione materiale accresce invero la sua considerazione, ma lo trasforma anche, nella coscienza generale, nel capro espiatorio di ciò che perpretra la prassi. (…) Se [la critica della cultura] ha strappato lo spirito dal suo intreccio con le condizioni materiali, del pari lo concepisce unilateralmente e linearmente come principio della fatalità [donde l’irrazionalismo della critica della cultura], con ciò reprimendo la resistenza sua propria. Precluso è al critico della cultura il riconoscere che la reificazione della vita stessa non riposa tanto su un eccesso, bensì su un difetto di rischiaramento [Aufklarung] e che le mutilazioni che all’umanità vengono inferte dall’attuale razionalità particolaristica altro non sono che i marchi d’infamia dell’irrazionalità totale.

11- Per tutta l’era liberistica, la cultura rientrava nella sfera della circolazione e il graduale venir meno di questa ne intaccò inesorabilmente la forza vitale. Tolto di mezzo il commercio e i suoi irrazionali nascondigli  dall’avvento dello strategico apparato distributivo dell’industria, la commercializzazione della cultura è assurta a delirio. Compiutamente addomesticata, amministrata, coltivata in certo qual modo in serra essa viene inaridendo. La denunzia di Spengler, secondo cui spirito e quattrini vanno insieme, è giusta. (…) La cultura consumistica può menar vanto di non essere un lusso, ma il semplice prolungamento della produzione.

12- Solo lo spirito che nel delirio della sua assolutezza si distanzi totalmente dal meramente esistente definisce in verità il meramente esistente nella sua negatività: finché anche la minima parte di spirito resta connessa con la riproduzione della vita, essa resta a anche complice di quella connessione.[9- L’evirazione della cultura di cui i filosofi si indignano, fina dai tempi di Rousseau, Schiller e Nietzsche, è provocata dal fatto che la cultura diviene c L’antibanausia [Banausico = di arte meccanica o di lavoro manuale, artigianale. Per esten.: di cosa grettamente utilitaria] ateniese era le due cose insieme: la sprezzante superbia di chi non si sporca le mani, a differenza di quelli del cui lavoro vive, e la preservazione dell’immagine di un’esistenza che addita al di là dalla costrizione che sta dietro ogni lavoro. /13- Esprimendo la cattiva coscienza e proiettandola sulle vittime come volgarità di queste, l’antibanausia denuncia al tempo stesso ciò che accade loro: l’assoggettamento degli uomini alla forma vigente della riproduzione della loro vita. Ogni ‘pura cultura’ è sempre stata scomoda per i portavoce del potere. Platone e Aristotele [lo] sapevano bene (…) La più recente critica borghese della cultura si è fatta certo troppo prudente per seguirli apertamente su questo terreno, benché sotto sotto si senta rassicurata dalla separazione tra alta cultura e cultura popolare, di arte e svago, di vera conoscenza e vaghe concezioni del mondo. Essa è tanto più antibanausica della classe superiore ateniese quanto il proletariato è più pericoloso degli schiavi.

14-Proprio perché essa afferma la validità del principio dell’armonia nella società onde trasfigurarla, la cultura non può evitare il confronto tra questa società e il suo proprio concetto d’armonia, e con ciò stesso va a urtare contro la disarmonia. (…) In forza della dinamica sociale , la cultura trapassa nella critica della cultura , la quale tien fermo al concetto di cultura, demolendo però le sue manifestazioni attuali in quanto  pura merce e strumento di instupidimento. [-> Critica della cultura = critica della separazione tra cultura alta e cultura di massa, arte e intrattenimento, conoscenza e weltanschaung]

18-L’alternativa tra il porre in questione la cultura nel suo complesso dall’esterno, sussumendola sotto il concetto superiore di ideologia, oppure metterla a confronto con le norme che essa stessa ha cristallizzato, non può essere riconosciuta dalla teoria critica. L’ostinarsi nella decisione: immanente o trascendente, significa ricadere nella logica tradizionale che era al centro di quella polemica di Hegel contro Kant secondo cui ogni metodo che fissa dei limiti e si attiene ai limiti del suo oggetto, proprio per questo va al di là di quei limiti.

18/19- Dialettica significa intransigenza di fronte a ogni reificazione. Il metodo trascendente, che attacca frontalmente la totalità, sembra più radicale di quello immanente, che per prima cosa si pone innanzi il tutto problematico. Esso si installa in un punto sottratto alla cultura e al contesto sociale dell’accecamento, In un punto archimedico , dal quale la coscienza sia in grado di riportare il movimento nella totalità/ L’ideologia, l’apparenza socialmente necessaria, è oggi la stessa società reale, nella misura in cui la sua integrale potenza e inevitabilità, la sua sopraffattrice esistenza in sé, surroga il senso che quell’esistenza ha distrutto. Per questa ragione la critica trascendente della cultura, in modo del tutto simile alla critica borghese, si vede costretta a guardare indietro ed evoca quell’ideale del conforme a natura, che costituisce esso stesso un elemento dell’ideologia borghese.

19- Insufficienza dei contributi socialisti alla critica della cultura: essi si sottraggono all’esperienza di ciò di cui si occupano [= metodo trascendente della critica della cultura]. Volendo cancellar tutto come con un colpo di spugna finiscono col presentare una certa affinità con la barbarie , e le loro simpatie vanno incondizionatamente al primitivo, all’indifferenziato, per quanto ciò possa essere in contraddizione con lo STATO DELLA FORZA DI PRODUZIONE SPIRITUALE. La categorica sconfessione della cultura diviene il pretesto per promuovere quanto vi è di più sano e grossolano, che è esso stesso repressivo, e specialmente per dirimere testardamente il conflitto che si perpetua tra società e individuo, che pure sono entrambi condannati a morte, in favore della società secondo i criteri degli amministratori che di essa si sono impadroniti. [usurpazione amministrativa?]

20-21- Alla fine, lo stesso contrasto tra conoscenza che penetra dall’esterno e conoscenza che procede dall’interno diviene sospetto agli occhi del metodo dialettico, in quanto sintomo di quella reificazione che è suo ufficio denunciare: all’astratta subordinazione da una parte, al pensiero per così dire amministrante [=idealismo?], corrisponde dall’altra il feticismo dell’oggetto reso cieco rispetto alla sua genesi, la prerogativa dello specialista. (…) 21- Il pensiero topologico, che di ogni fenomeno sa in che casella rientri, ma di nessuno sa cosa sia, è sotto sotto affine al sistema delirante dei paranoici, a cui è stata recisa l’esperienza dell’oggetto. / [Nessuna teoria, nemmeno quella vera, è garantita dal pervertirsi in delirio se ha rinunciato al rapporto spontaneo con l’oggetto]

LA COSCIENZA DELLA SOCIOLOGIA DEL SAPERE

24- Si tratta su tutta la linea di tensioni [antagonistiche] che scaturiscono dalla coesistenza non ancora superata del principio del ‘laisser faire’ e del nuovo principio della regolazione. Come se tutto non dipendesse da chi regola e da chi è regolato. Oppure dei malanni dell’epoca viene reso responsabile ‘l’irrazionale’ anziché determinati gruppi di uomini o un determinato modo d’essere della società.

25- Dove si lavora ad integrare le élites non sono lontane. La ‘crisi della cultura’, nella quale in Mannheim terrore e orrore in tutta fretta si sublimano, si trasforma per lui nel ‘problema della formazione della élite. Egli è in grado di servirci quattro ‘processi’ nei quali questo problema ha da cristallizzarsi: 1. Il crescente numero delle élites e il conseguente indebolimento della loro forza d’urto; 2. La distruzione della compattezza dei gruppi d’ élite [la mancanza di omogeneità delle élites  in realtà è una finzione ->il ‘filisteo culto’ di Nietzsche] 3. Il mutamento intervenuto nel processo di formazione delle élites [disposizione a fare un feticcio del successo come tale]; 4. Il mutamento della loro composizione [= democratizzazione delle élites ->Il concetto di proletario viene formalizzato: si presenta come una mera struttura di coscienza , press’a poco come avviene quando l’alta borghesia dà del proletario a uno che non conosce le regole del gioco. LA GENESI RISULTA COSI’ FUORI DALLA CONSIDERAZIONE. [-> L’istupidimento per altro non è prodotto dagli oppressi, al contrario è l’oppressione a rendere stupidi.

29 [Assistiamo in Mannheim] all’escogitazione di tre gradi della coscienza: RINVENIRE, INVENTARE, PIANIFICARE, d’altro non si tratta che del tentativo di interpretare pari pari lo schema dialettico delle epoche come quello dei modi di comporatmento fluidamente mutevoli dell’uomo socializzato , nei quali i contrasti determinanti scompaiono [Sul passaggio senza scosse tra società liberale e società pianificata]

30- La classificazione secondo concetti ordinatori sarebbe peraltro un adeguato procedimento di conoscenza solo se i fatti , di cui si pretende che siano dati immediatamente , si lasciassero staccare per astrazione dal loro fondamento con la stessa facilità con cui si offrono a un primo ‘ingenuo accostamento’.

SPENGLER DOPO IL TRAMONTO

42- Molte riflessioni del secondo volume concernono la civiltà -in-declino [Zivilisation] nell’epoca del cesarismo. Da segnalare all’inizio alcune proposizioni sulla ‘fisiognomica delle cosmopoli’. Delle loro case si dice: “Finché il focolare in senso religioso costituisce il centro reale significativo della famiglia , sussiste un’ultima connessione con la terra. Solo quando questo scompare e una massa di locatari e ospiti per la notte conduce un’esistenza errante da un tetto all’altro in questo mare di case quasi come i pastori e i cacciatori delle origini, solo allora prende forma compiuta il NOMADE INTELLETTUALE. Questa città è un mondo, è IL  mondo. (…) L’idea che vede nel tardo abitatore delle città un secondo nomade merita un particolare rilievo.

43- [sul tempo libero] La tensione intellettuale non conosce più che un’unica forma, specificamente cittadina, di ricreazione: il ‘rilasciamento’ , la ‘distrazione’. Il vero gioco, la gioia di vivere, il piacere, l’ebbrezza, che nascono dal ritmo cosmico, non sono più compresi nella loro essenza. Il lavoro intellettuale pratico più intenso che dà luogo al suo opposto, al darsi a cose stupide perfettamente conosciute come tali; La tensione spirituale che si alterna con la tensione corporea dello sport; La tensione corporea a cui seguono la tensione sensuale del ‘piacere’ e quella ‘spirituale’ dell’”emozione’ nel gioco e nella scommessa; una mistica coscientemente assaporata come diversivo dalla pura logica del lavoro quotidiano : tutto ciò ricorre in ogni città cosmopolita./ Spengler innalza questa considerazione alla tesi che l’arte medesima  si va trasformando in sport. (…) Alla vittima dell’industria della cultura reclamizzata, non a coloro che la manipolano, va il disprezzo di Spengler. “Sorge il tipo del fellah” [= tipo umano regressivo]

44- I libri, con la varietà dei loro punti di vista che costringe la mente del lettore a una scelta e a una critica, sono ormai cosa di cerchie ristrette. Il popolo legge un solo giornale, il ‘suo’ giornale, che penetra in milioni di copie in tutte le case, suggestionando gli spiriti fin dal mattino , facendo dimenticare i libri con i loro supplementi, e quando ciò malgrado l’una o l’altra opera si fa largo all’orizzonte , il giornale pensa a neutralizzarne l’azione tramite una critica preventiva.

44- Spengler si avvede per qualche verso del duplice carattere dell’illuminismo nell’epoca dell universale dominio. “Alla stampa politica si collega anche la diffusione dell’istruzione scolastica generale, che, del tutto assente nell’antichità, nasconde il fine di trasformare le masse in oggetti della politica di partito succubi della potenza della stampa. Quella diffusione agli idealisti della prima democrazia era sinceramente sembrato un’opera di illuminazione delle menti mentre ancora oggi vi sono dei sempliciotti entusiasti della libertà di stampa: proprio così i futuri Cesari della stampa mondiale avranno la via libera. Chi ha imparato a leggere cadrà sotto il loro potere e la tarda democrazia dopo aver sognato un diritto alla autodeterminazione del popolo, condurrà ad una determinazione dei popoli da parte delle potenze che controllano la parola stampata, / Il popolo come massa di lettori di giornali e di programmi manipolati/ 45- Oggi la stampa è un esercito munito di ogni specie di armi accuratamente organizzate , i giornalisti facendo da ufficiali, i lettori facendo da truppa.

46- [La tendenza dell’attuale economia a dar vita , eliminando il mercato e la dinamica della concorrenza, ad una situazione statica ed ‘esente da crisi’-> da cui la staticità della cultura che ‘esclude la storia’] Si potrebbe considerare tutta l’arte specificamente moderna come il tentativo di mantenere in vita, ‘esorcizzandola’, la dinamica della storia, potenziando l’orrore da irrigidimento a shock, a catastrofe nella quale ciò che è senza storia assume improvvisamente l’espressione di ciò che da gran tempo è stato.

47/48. [partiti non più portavoce dei loro elettori / diritti del popolo vs cesarismo dell’organizzazione]

49- La filosofia della storia di Spengler afferma la morte dello spirito.

52- [Sguardo fisiognomico di Spengler: uomo-massa vs Cesari]

54- Spengler appartiene a quei teorici dell’estrema reazione la cui critica del liberalismo in molti punti si è rivelata superiore a quella progressista. /53- Quella liberale apparve alla critica storico-dialettica in larga misura come una falsa promessa. I portavoce di questa critica non hanno mai messo in questione le idee di umanità, libertà, giustizia, bensì la pretesa della società borghese di rappresentare la realizzazione di queste idee. (…) A destra invece il veder chiaro nelle ideologie fu tanto più agevole in quanto ci si disinteressava della veritè che è contenuta nelle ideologie in forma sbagliata. Chi considera libertà, umanità e giustizia nient’altro che una frode escogitata dai deboli per difendersi dai forti – e in questo i teorici della reazione tedesca seguirono per lo più Nietzsche- può benissimo in quanto procuratore dei forti , additare la contraddizione che vige tra quelle idee già anticipatamente intristite e la realtà di fatto. La critica delle ideologie si ribalta su se stessa. Essa vive spostandosi dalla comprensione della cattiva realtà a quella della cattiveria delle idee, che sarebbe dimostrata dal fatto che non si sono realizzate.

55-[La cultura trasformata in sistema di controllo]

59- La civiltà non significa, come in Spengler, la vita delle anime collettive che si dispiegano, ma scaturisce nella lotta degli uomini per le condizioni della loro riproduzione. Perciò la civiltà contiene un elemento di contraddizione alla cieca necessità: la volontà di determinare se stessi in base alla conoscenza.

63- Una cosa resta celata all’attento sguardo di Spengler, che, come quello di un cacciatore, va spietatamente percorrendo le città degli uomini (…): le forze che si rendono libere nella decadenza.

L’ATTACCO DI VEBLEN ALLA CULTURA

65- Dalla critica del consumo dei beni come mera ostentazione egli ha dedotto conseguenze che risultano assai simili sul piano estetico a quelle della Nuova Oggettività -quali furono formulate ad esempio da Adolf Loos nello stesso torno di tempo- e sul piano pratico a quelle della tecnocrazia.

65/66- Per tutta l’opera principale di Veblen l’espressione ‘cultura barbarica’ viene sempre insistentemente presentata come una maschera rituale. (…) Anche se è riferita in modo pregnante solo a una fase storica pur notevolmente ampia, che si estende dal cacciatore e dal guerriero arcaico fino al signore feudale e al monarca assoluto e la cui linea di demarcazione rispetto al capitalismo è lasciata volutamente sfumata, è innegabile in molti luoghi la volontà di denunciare come barbarica l’età moderna proprio là dove essa accampa pretese di cultura. Proprio quei tratti cioè, in cui ess si mostra sottratta alla mera utilità e fatta a misura d’uomo , sarebbero residui di epoche storiche arcaiche. L’emancipazione dal regno degli scopi per Veblen è nient’altro che il segno di una mancanza di scopi, la quale deriva dal fatto che le ‘istituzioni’ culturali (la terminologia filosofica tedesca dovrebbe tradurre il concetto vebleniano di ‘institution’ piuttosto con ‘forma di coscienza’, che con ‘istituzione’; a un certo momento Veblen definisce le ‘istituzioni’ come ‘abiti mentali’) e le condizioni antropologiche mutano non conformemente e non contemporaneamente ai modi economici di produzione, ma rimangono indietro a questi e, in certi periodi entrano in aperta contraddizione con loro  [cultural lag?]. Le caratteristiche della cultura, in cui istinto di sopraffazione, cupidigia e limitazione alla mera immediatezza sembrano superati, sono invece, se si segue il filo del pensiero di Veblen piuttosto che le sue formulazioni oscillanti fra odio e cautela, il semplice residuo di forme sorpassate di cupidigia, istinto di sopraffazione e cattiva immediatezza. Esse nascono dal bisogno di assicurare all’uomo che ci si è affrancati dalla sfera della cruda vita pratica ; in particolare che si può dedicare il proprio tempo all’inutile per elevare appunto la propria posizione nella gerarchia sociale e la misura della propria onorabilità sociale e, in definitiva, per consolidare il proprio potere su altri uomini. La crociata della cultura contro l’utilità è bandita in favore dell’utilità mediata. La cultura porta il marchio della vita falsa. [Veblen ≈ Freud] Bastone da passeggio e prato erboso, l’arbitro sportivo e le qualità degli animali domestici diventano sotto lo sguardo di Veblen allegorie del barbarico nella cultura.

68- [pensiero scientifico come universale applicazione del principio di causalità / Le fonti del pensiero di Veblen sono tre: il pragmatismo americano, primo positivismo della scuola di Saint Simon, Comte e Spencer: progresso per lui significa assimilare le forme della coscienza e della ‘vita’ , intesa come sfera del consumo, a quelle della tecnica industriale; Marx->La critica di Veblen non è una critica dell’economia politica della società borghese nelle sue premesse, ma una critica della sua sfera non economica. Il continuo ricorso alla psicologia e alle abitudini mentali per spiegare i fatti economici è inconciliabile con la teoria oggettiva del valore propria di Marx]

68/69- [Sciupio vistoso ≈ feticismo di Marx; ‘regressione’ = ritorno coatto a forme di coscienza superate , che avviene sotto la pressione di rapporti economici, ispirata a Marx]

70- L’accento messo sull’aspetto minaccioso dello sfarzo e dell’orpello è funzionale alla filosofia della storia di Veblen. Le immagini di aggressiva barbarie che egli scorse nel Kitsch del diciannovesimo secolo, in particolare nello stile decorativo degli anni della stabilità borghese di fine ottocento, apparivano alla sua fede nel progresso quali relitti di epoche passate o tratti regressivi di chi non produce direttamente , di chi è esentato dal processo di produzione industriale.

71- Se oggi la cultura ha assunto il carattere della reclame, del puro tessuto connettivo, essa per Veblen non è mai stata altro di diverso dalla reclame, ostentazione di dominio, bottino, profitto./ La storia universale è l’esposizione universale. Egli spiega la cultura dal Kitsch, non viceversa. / Da tutte le ‘epoche passate’ viene espunto ciò che non si accorda con la BUSINESS CULTURE dell’età moderna: la credenza nel potere reale di pratiche rituali, il motivo della sessualità e del suo simbolismo – la sessualità in tutta la THEORY OF LEISURE CLASS non è mai menzionata- l’impulso all’espressione artistica, ogni desiderio di eludere la schiavitù degli scopi. / [Sport per Veblen come violenza repressiva]

72-[Veblen coglie il nesso tra il fanatismo sportivo e la funzione manipolatrice della classe dirigente. / MODELLARE IL CORPO A IMMAGINE DELLA MACCHINA]La passione per lo sport è secondo Veblen di natura regressiva. ‘Ci si dedica allo sport per via di una costituzione spirituale arcaica’, Niente è però più moderno di questa arcaicità: le manifestazioni sportive furono i modelli delle adunate di massa degli stati totalitari. Egli riconosce lo sport come psudoattività : come canalizzazione di energie che in altra direzione potrebbero diventare pericolose ; come investimento di attivismo senza senso con i caratteri ingannevoli della serietà e della significatività. (…)Nel contempo però lo sport risponde al concreto, aggressivo spirito di rapina. Esso riassume in un’unica formula le esigenze antagonistiche di attività diretta a uno scopo e di spreco di tempo. In tal modo diventa strumento di mistificazione, serve a ‘darla a intendere’. L’analisi di Veblen sarebbe ovviamente da completare. Perché lo sport non implica soltanto l’impulso a far violenza, ma anche quello a obbedire e a soffrire. È unicamente la psicologia razionalistica di Veblen a nascondergli la componente masochistica dello sport. Essa caratterizza lo spirito sportivo non come mero relitto di un tipo di società arcaica, ma forse ancor più come incipiente adattamento a quella nuova che ci minaccia. / 81 [Perché non accettare lo sport e la volontà di coraggio come espressioni legittime di una normale e sana natura umana?] La risposta di Veblen è sorprendente: “L’altra norma a cui si fa appello è l’istinto dell’efficienza, che è un istinto più fondamentale , di prescrizione più antica, che non la tendenza all’emulazione predatoria”.

75- La visione della società di Veblen, nonostante quel discorso vago sulla pienezza di vita, non è misurata sulla felicità, bensì sul lavoro. Soltanto in quanto compimento dell’’istinto di efficienza’ , la sua massima categoria antropologica, la felicità entra nel suo campo visivo. Egli è un puritano malgré-lui-meme. Se è vero che attacca ogni tipo di tabù, la sua critica però si arresta di fronte alla santità del lavoro.

77- [La critica della cultura di Veblen ha una componente di ciarlataneria = livello a-teoretico eclettico] Per lui il castello falso non è nient’altro che anacronistico. Non sa nulla dello spirito moderno che c’è nella regressione . Le ingannevoli immagini dell’unicità nella produzione di massa sono per lui meri residui, e non invece reazioni alla meccanizzazione industriale avanzata , le quali dicono qualcosa su questa. [Per Veblen progresso (modernità) vs regressione (arcaicità)]

79- Veblen fallisce di fronte alla QUAESTIO IURIS sociale del lusso e dello spreco, che il nostro riformatore vorrebbe eliminare come un’escrescenza. SI POTREBBE PARLARE DEL DUPLICE CARATTERE DEL LUSSO. Uno dei suoi aspetti è quello su cui Veblen concentra i suoi riflettori: quella parte del prodotto sociale che non torna a vantaggio dei bisogni umani e della felicità umana, ma viene dissipato per mantenere in vita rapporti superati. L’altro aspetto del lusso è l’uso di parti del prodotto sociale che né mediatamente né immediatamente servono alla reintegrazione della forza lavoro che è stata spesa, bensì agli uomini , nella misura in cui non sono del tutto asserviti al principio dell’utilità.

81- Quei tratti di demitologizzazione e di umanità che gli uomini mostrano nell’età borghese,non significano per Veblen un prender coscienza di sé ma piuttosto il ritorno verso questo stato primigenio. “Sembra perciò che nella posizione sicura in cui si trova la classe agiata si verifichi una certa regressione alla sfera degli impulsi non antagonistici, che caratterizzano la società selvaggia predatoria. La regressione comprende sia il ‘senso dell’efficienza’ sia la tendenza all’ignavia e al cameratismo” Di Karl Kraus, il critico dell’ornamento linguistico è il verso “L’origine è la meta” [Ursprung ist das Ziel]. Così la nostalgia del tecnocrate Veblen va alla restaurazione dell’arcaico: il movimento per l’emancipazione femminile è per lui lo sforzo cieco e precario “di ripristinare la condizione pre-glaciale delle donne”. (…) Qui si manifesta uno dei nessi più curiosi nella teoria di Veblen: quello fra la dottrina rousseiana dell’ideale stato originario e il positivismo.

85 [Antiintellettualismo di Veblen -> in fondo alla demistificazione c’è l’odio contro il pensiero]/ 86 [Dialettica (= possibilità) vs Adattamento (= sempre uguale)] / [domanda kantiana:] Come è  in generale possibile qualcosa di nuovo?

ALDOUS HUXLEY E L’UTOPIA

95- Un motto attribuito a Ford: “History is a bunk” (=La storia è una balla) getta nell’immondezzaio tutto ciò che non corrisponde agli ultimi periodi della produzione industriale , in breve, ogni continuità della vita. Gli uomini vengono storpiati da tale riduzione: la loro incapacità di percepire e pensare ciò che non è come loro, l’autosufficienza senza vie d’uscita della loro esistenza, la dittatura della pura coerenza e conformità.

100- Ogni spirito presuppone per definizione il processo vitale della società e in ispecie la divisione del lavoro.

104- E’ ridicolo accusare la gomma da masticare di nuocere alle disposizione per la metafisica ma si potrebbe probabilmente dimostrare che i guadagni di Wrigley ed il suo palazzo a Chicago si fondano sulla funzione sociale di conciliare gli uomini con le situazioni cattive, di distoglierli dalla critica. Non critichiamo la civiltà di massa perché essa dia troppo agli uomini o renda troppo sicura la vita (questo lo lasciamo alla teologia luterana), ma perché essa aiuta a far sì che gli uomini ricevano troppo poco e cose troppo cattive, che interi strati vivano in una miseria interiore ed esterna spaventosa, che gli uomini si adattino all’ingiustizia; perché essa tiene fermo il mondo in una situazione in cui si è costretti ad aspettare da un verso catastrofi gigantesche, dall’altro la congiura di elite astutissime per mantenere un precario stato di pace./ Un giorno si dimostrerà che gli uomini non hanno bisogno della robaccia che offre loro l’industria culturale./ [ Se sparisce la miseria cambierà il rapporto tra bisogno e soddisfacimento]

105 – Dio non fece l’uomo come produttore o consumatore ma come uomo (K. Kraus)

108/109- [la conclusione reazionaria del romanzo di Huxley] Huxeley incolpa la tecnica di ciò che non dipende dalla natura della tecnica stessa (come egli ritiene dando ragione ai filistei romantici) ovvero dell’eliminazione del lavoro, ma dalla sua stretta dipendenza dai rapporti sociali di produzione.

110 – La civilizzazione approda alla barbarie in nome della cultura. /L’individuazione, un fatto essenzialmente sociale, ritorna ancora ad essere natura immodificabile.

MODA SENZA TEMPO. SUL JAZZ

120- L’elemento di novità sostanziale senza il quale la storia è difficilmente concepibile. (…) Riesce infatti paradossale che una locomotiva del 1950 appaia diversa da una del 1850, perciò i rapidi più moderni vengono talvolta decorati con fotografie di treni antiquati. Da Apollinaire in poi, i surrealisti che per parecchi aspetti sono ricollegabili al jazz, hanno fatto leva su questa sensazione: “Proprio qui le automobili hanno l’aria di essere antiche”. Inconsciamente la moda senza tempo ha assimilato tracce di ciò. Il jazz, che non a caso solidarizza con la tecnica , nella sua qualità di atto cultuale rigorosamente reiterato ma senza oggetto, collabora a creare il ‘velo tecnologico’ e finge che il XX sec. sia un Egitto di schiavi e di dinastie senza fine.

121 Il jazz offre schemi di comportamento al quale gli uomini sono comunque costretti a piegarsi. Rende loro più facile l’inevitabile.

122- La regressione non è l’originario, il primordiale, ma questo è l’ideologia di quella.

124- Il jazz deve avere una ‘base di massa’: la tecnica deve avere un rapporto con un momento interiore dei singoli , certo a sua volta collegato alla struttura della società e ai conflitti tipici tra l’io e la società. (…) Nell’integrazione dell’elemento asociale il jazz si accosta allo schema altrettanto standardizzato del romanzo poliziesco e delle sue propaggini, dove regolarmente il mondo è così deformato – o messo a nudo- che l’asocialità diventa norma quotidiana, ma al contempo la seducente e minacciosa tentazione viene esorcizzata con la vittoria dell’ordine. Solo la dottrina psicanalitica può spiegare adeguatamente questi fenomeni.

128- Il jazz è la falsa liquidazione dell’arte, invece di avverarsi l’utopia scompare dall’orizzonte.

BACH DIFESO DAI SUOI AMMIRATORI

129- La funzione attuale della sua musica è affine alla moda ontologica, perché ci si ripromette da lei di superare la condizione individualistica ponendo un principio astratto superiore agli uomini, sottratto all’esistenza comune , eppur privo di un preciso contenuto teologico. Costoro godono della sua musica perché gli è possibile sentirsi subordinati. La sua opera nata allora dalla limitatezza dell’orizzonte teologico per infrangerlo e farsi universale, viene ricondotta tra le barriere che aveva scavalcato: da tale ansia impotente Bach viene degradato a uno di quei compositori di chiesa al cui ufficio la sua musica si opponeva.

134- Volendo analizzare socialmente l’opera di Bach bisognerebbe probabilmente rapportare quella spaccatura di elementi tematici dati  operata dalla riflessione soggettiva nell’elaborazione tematica  (…) con le modificazioni del processo lavorativo , impostesi in quello stesso periodo mediante la manifattura e costituite soprattutto dalla scomposizione delle vecchie operazioni artigianali in piccoli atti parziali.

ARNOLD SCHÖNBERG (1874 – 1951)

145- Di fronte alla coscienza pubblica Schönberg passa oggi per novatore, riformatore , addirittura per inventore di un sistema. (…) A suo tempo messo al bando, viene ora rimosso (…) Si mettono da parte con l’accusa che sono wagneriane o tardoromantiche, non solo le composizioni giovanili, ma anche quelle del periodo di mezzo che gli avevano attirato l’odio di tutti i detentori di cultura, anche se in quarant’anni non si è imparato neppure ad eseguirle correttamente (…) Questa rimozione e questo modo di impostare il problema sono imposte dalle difficoltà che Schönberg presenta a un pubblico musicale modellato dall’industria culturale. [La musica di Schönberg impone fin da principio una partecipazione attiva e concentrata, un’acuta attenzione per la molteplicità di fenomeni che si svolgono simultaneamente, la rinuncia ai soliti supporti di un modo di ascolto abituato a sapere già quello che viene, un’intensa percezione dei suoi aspetti unici e specifici, infine la capacità di afferrare con precisione i caratteri espressivi, che spesso si trasformano in uno spazio brevissimo, e il loro svolgersi in cui non esistono ripetizioni identiche. / [Debussy e la musica commerciale di massa]

146- [Schönberg] denuncia un conformismo che sequestra la musica , facendone un parco naturale di comportamenti infantili nel pieno di una società che ha capito da tempo che essa può farsi sopportare solo se concede ai suoi prigionieri una quota di controllata felicità fanciullesca. Schönberg trasgredisce alla bipartizione della vita in tempo dedicato al lavoro e tempo libero, ed esige che nel tempo libero si compia un tipo di lavoro tale che potrebbe mettere in dubbio l’utilità del lavoro stesso. / Tende al massimo l’energia spirituale, principio di un Io che sia abbastanza forte da non rinnegare l’istinto.

147- Esigenza di spiritualizzazione che era stata necessaria per compensare la trasformazione della cultura in patrimonio culturale.

150- Stile come categoria precostituita alla cosa e volta ad accattivarsi il consenso esistente.

152- La musica di Schönberg non è giornalismo (= frasi fatte e promesse non mantenute)

153- [Nuova pittura francese ≈ scuola di composizione viennese.

157- Schönberg si libera dallo stile rappresentativo./ La KAMMERNSYMPHONIE per la prima volta si libera da un fondamento che era stato proprio della musica dall’epoca del basso numerato, dallo ‘stile rappresentativo’, dall’adattamento del linguaggio musicale a quello semantico degli uomini.

161 – [Impulso a eliminare ornamenti -> cubismo contro prospettiva (come trompe-l’oeil) ≈ dodecafonia contro armonia.

VALERY, PROUST E IL MUSEO

177- Come l’uomo perde le sue forze per l’eccesso di strumenti tecnici, così impoverisce per l’eccesso delle sue ricchezze.

179- Nei musei noi giustiziamo l’arte del passato (Valery) /[caos musicale ≈ anarchia della produzione capitalistica.

181- [HIC ET NUNC = riferimento a un possibile uso]

182- [Dilettante/amatore (≈ Proust) vs competente (≈ Valery)  = museo/esposizione vs atelier]

186- Il museo come sede del processo di reificazione e di commercializzazione dell’arte (Valery)

George e Hoffmansthal. A proposito del carteggio ( 1891 – 1906)

191- Il tacito procedimento di George e di Hoffmansthal, non diversamente dai manifesti di Rimbaud e di Verlaine si appella all’Incommensurabile. Questo non è l’Assoluto metafisico su cui insistevano il primo romanticismo tedesco e la sua filosofia.

196- [Grande stile (contegno) vs Kairos] E’ la programmatica apertura verso il mondo del giovin signore di nobile casato, secondo il cliché in cui Hoffmansthal stilizzò in seguito il suo passato, già leggendario al primo giorno; di colui che non ha bisogno di darsi un contegno perché appartiene già di per sé agli eletti.

198 [Proust ≈ Hoffmansthal vs George]

207-L’atteggiamento di attore di Hoffmansthal (…) deve se stessi ad una intuizione estremamente realistica: che il linguaggio non permette più di dire nulla come lo si è sperimentato[Cfr. Lettera di Lord Chandos]. O esso è quello reificato e banale dei marchi di fabbrica, oppure installa se stesso, solenne senza solennità, autorizzato senza autorità, confermato di sua iniziativa, in breve un linguaggio del tipo che Hoffmansthal combatteva nella scuola di George.

208- [DIMORA = RADICAMENTO (vs ebreo errante)]

223-Simbolisti e neoromantici preservano il bello mentre i naturalisti capitolano di fronte alla devastazione della vita nell’era industriale [222- il realista come cerebroleso]

231- [L’estetismo come sfida al linguaggio degli uomini sociali] / Baudelaire parla della realtà che tiene lontani il sogno e l’azione operosa.

Profilo di Walter Benjamin

233- [filosofante/ musicante/scrivente vs filsofo/musicista/ scrittore]

237-Del resto, non rispettando il confine tra il letterato e il filosofo, egli aveva fatto della necessità empirica la sua virtù intellegibile. A vergogna loro, le università lo rifiutarono, mentre l’antiquario che era in lui si sentiva attratto dal mondo accademico nello stesso ironico modo in cui ad esempio Kafka  subiva il fascino delle società d’assicurazione.  / Egli ottemperò alla massima dell’EINBHANSTRASSE, secondo cui tutti i colpi decisivi sono portati con la mano sinistra, senza per questo recedere in nulla dalla verità. Anche i più preziosi trastulli letterari hanno la funzione di esercizi in vista del capolavoro, del cui genere egli al contempo radicalmente diffida. / Il saggio in quanto forma consiste nella possibilità di contemplare ciò che è storico , le manifestazioni dello spirito obiettivo, la ‘cultura’, come se fossero natura. (…) Si potrebbe definire in complesso il suo pensiero come ‘storico-naturale’. Le componenti pietrificate, irrigidite o obsolete della cultura, tutto ciò che in essa ha dimesso l’insinuante vivacità, parlavano a lui come il fossile o la pianta dell’erbario parlano al collezionista.

238- Non attira Benjamin unicamente il compito di ridestare la vita rappresa in ciò che si è pietrificato -come nell’allegoria- egli è portato altresì a considerare il vivente in modo che si presenti come passato di lunga pezza, come ‘preistorico’ e ceda immediatamente il suo significato. / [Evocare le essenze vs dialettica] / [Mito vs conciliazione -> Finché c’è ancora un mendicante c’è ancora mito]

240- Il saggismo di Benjamin consiste nel trattare testi profani come se fossero sacri. / [Benjamin] In forza del suo aspetto illuministico, si rivela infinitamente più agguerrito contro la regressione demoniaca, di quanto non fosse Kafka, 257agli occhi del quale DEUS ABSCONDITUS e demonio si confondevano l’uno nell’altro.

241- [mito (ambiguo) vs conciliazione dell’uomo con la creazione ( univocità = nome = autonomia)]

242- La sua visione della modernità come arcaicità non conserva le tracce di un presunto antico vero, intende invece l’evasione reale dalla paralisi onirica dell’immanenza borghese. / Interpretare materialisticamente i fenomeni significava per lui non tanto spiegarli in base al tutto sociale, quanto riferirli immediatamente, nel loro isolamento, a tendenze materiali e a lotte sociali. Sperava così di sfuggire a quell’alienazione e riduzione ad oggetto, nella quale la considerazione del capitalismo in quanto sistema minaccia di assimilarsi appunto al sistema. [Benjamin contro la mediazione della totalità]

243 [Mito = sabotaggio dell’idea di felicità e ratifica dell’eternamente uguale]

APPUNTI SU KAFKA

256- Tradotto dal linguaggio del tabù [= potere magico] a quello normale della psicologia: il suddito che paventa la grandiosa tentazione costituita per lui dal contatto col re , è in grado di tollerare il commercio col funzionario, che non è costretto a invidiare tanto e la cui posizione gli appare perfino raggiungibile. / [Kafka = Proust = reprimere la paura del tabù mediante l’ammissione fra gli eletti]

257. La persona [in Kafka e Freud] si trasforma da sostanza a mero principio di organizzazione di impulsi somatici.

260- [epoca dell’accecamento universale]

266- [Allegoria della rivoluzione nei racconti di Kafka]

268 – [Mito = violenza cieca che si riproduce all’infinito]

271- [Marea dell’analfabetismo in marcia -> il genere delle opere d’arte veramente tali non è casuale -> Le riduzioni teatrali andrebbero lasciate all’industria culturale]

274- [Il tempo come unità del senso interno (vs spazio = ripetizione fuori del tempo)] / Le grandi opere di Kafka sono romanzi polizieschi  in cui non si riesce a scoprire il criminale / Kafka come Mahler sta dalla parte dei disertori]

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