
89- Immaginiamo che un’affinità di statuto e di storia, leghi la matematica e l’acustica, già a partire dai Greci: immaginiamo che questo spazio, propriamente pitagorico, sia stato alquanto rimosso durante due o tre millenni ( non per nulla Pitagora è l’eroe eponimo del segreto); immaginiamo infine che a partire da questi stessi Greci, un altro legame si sia installato di fronte al primo, e che lo abbia sopraffatto, sovrapponendosi continuamente ad esso, nella storia delle arti: il legame della geometria e del teatro. Il teatro è effettivamente una pratica che calcola il posto GUARDATO delle cose : se metto lo spettacolo qui, lo spettatore vedrà questo; se lo metto in un altro posto, non lo vedrà e io potrò approfittare di questo nascondiglio per produrre un’illusione (…) La rappresentazione non si definisce direttamente attraverso l’imitazione: anche sbarazzandosi delle nozioni di ‘reale’, ‘verosimile’, ‘copia’, resterà sempre della rappresentazione finché un soggetto (autore, lettore, spettatore, osservatore) dirigerà il suo SGUARDO verso un orizzonte e vi ritaglierà la base di un triangolo di cui il suo occhio (o il suo spirito) sarà il vertice. L’Organon della Rappresentazione (che è possibile descrivere oggi in quanto si intravede un’ALTRA COSA), quest’Organon non avrà come duplice fondamento [che] la sovranità del DECOUPAGE e l’unità del soggetto che ritaglia. Ha dunque poca importanza la sostanza delle arti ; indubbiamente teatro e cinema sono espressioni dirette della geometria (a meno che non procedano a qualche rara ricerca sulla voce, sulla stereofonia), ma anche il discorso letterario classico (leggibile) avendo abbandonato da molto tempo la prosodia, la musica, è un discorso rappresentativo, geometrico, in quanto ritaglia dei frammenti per dipingerli: parlare (avrebbero detto i classici) non è altro che ‘dipingere il quadro che si ha in mente’. La scena, il quadro, il piano, il rettangolo ritagliato ecco la condizione che permette di pensare il teatro, la pittura, il cinema, la letteratura, cioè tutte le arti diverse dalla musica e che si potrebbero chiamare arti DIOTTRICHE [def: la parte dell’ottica geometrica che studia i fenomeni legati alla rifrazione]. (Controprova: niente permette di rintracciare qualche quadro, anche minimo, nel testo musicale, a meno di subordinarlo al genere drammatico: niente permette di ritagliare in esso il minimo feticcio, a meno di banalizzarlo con l’adozione di un ritornello).
237-Udire è un fenomeno fisiologico; ASCOLTARE è un atto psicologico. E’ possibile descrivere le condizioni fisiche dell’audizione (e i suoi meccanismi) facendo ricorso all’acustica e alla fisiologia dell’udito; l’ascolto invece può essere definito soltanto a partire dal suo oggetto, ovvero, se si preferisce dal suo obiettivo. (…) Si individueranno tre tipi di ascolto. Nel primo tipo di ascolto l’essere vivente rivolge la propria audizione (l’esercizio della facoltà fisiologica di udire) verso gli INDIZI. A questo livello nulla distingue l’animale dall’uomo (…) Questo tipo di ascolto è, se così si può dire, un ALLARME. Il secondo è una DECIFRAZIONE: quel che si cerca di captare con l’orecchio sono dei segni, e questo, certo, è proprio dell’uomo. Ascolto come leggo, cioè in base a certi codici. Per finire il terzo tipo di ascolto -del tutto moderno, anche se ovviamente non soppianta gli altri due- non prende in considerazione e non si basa su segni determinati, classificati; non riguarda ciò che è detto, o emesso, quanto piuttosto chi parla, chi emette.
238- I sensi dell’uomo sono gli stessi dell’animale. Tuttavia è evidente che lo sviluppo filogenetico e, nella storia umana, lo sviluppo tecnico, hanno modificato e modificheranno ancora la gerarchia dei cinque sensi. (…) / 239- Senza dubbio è proprio a partire da questa nozione di territorio (ovvero di spazio ‘appropriato’, familiare, ordinato e domestico) che meglio si comprende la funzione dell’ascolto [del primo tipo]: il territorio, infatti, può essere definito essenzialmente come lo spazio della sicurezza e, in quanto tale, da difendere. L’ascolto è quest’attenzione ‘preliminare’ che consente di captare tutto ciò che potrebbe alterare il sistema territoriale. [-> minaccia o promessa, pericolo o colpo di fortuna].
240- Molto prima che fosse inventata la scrittura, anzi molto prima che fosse praticata la pittura rupestre, è stato prodotto qualcosa che forse distingue essenzialmente l’uomo dall’animale: la riproduzione intenzionale di un ritmo. Su certe pareti dell’epoca musteriana si trovano delle incisioni ritmiche, e tutto fa credere che la comparsa di queste prime rappresentazioni ritmiche abbia coinciso con quella delle prime abitazioni umane. Certo non si sa nulla, se non di mitico, della nascita del ritmo sonoro; ma sarebbe logico immaginare che ritmare (incisioni o colpi) e costruire case siano attività che nascono contemporaneamente: la caratteristica operatoria dell’umanità consiste appunto nella percussione ritmica a lungo ripetuta, come attestano le lame e le schegge di selce ottenute per percussione del nucleo. Col ritmo la creatura preantropica accede all’umanità degli Australantropi. / Sempre per via del ritmo, l’ascolto non resta semplice vigilanza, ma diventa creazione. Senza il ritmo il linguaggio è impossibile: il segno si basa su un duplice movimento , quello del marcato e del non-marcato, che si chiama paradigma. La favola che meglio rende conto della nascita del linguaggio è la storia del bambino che, 241 – secondo Freud, mima l’assenza e la presenza della madre in un gioco che consiste nel lanciare lontano e riprendere un rocchetto attaccato ad uno spago: in tal modo egli crea il primo gioco simbolico ma contemporaneamente anche il ritmo. Immaginiamo che il bambino ascolti, vigile, i rumori che lo possono avvertire del ritorno desiderato della madre: egli si trova nel primo tipo di ascolto, quello degli indizi. Quando però non sta più in attesa dell’indizio e si mette a mimarne il ritorno regolare, allora egli trasforma l’indizio atteso in segno, passando in tal modo al secondo tipo di ascolto che è quello del senso: ciò che ascoltato non è più il possibile (la preda, l’insidia o l’oggetto del desiderio che si manifesta senza preavvisi), bensì il segreto, ossia qualcosa che, sepolto nella realtà, non può presentarsi alla coscienza umana se non tramite un codice che serve tanto a cifrare questa realtà quanto a decifrarla./ Da quel momento l’ascolto è legato ad un’ermeneutica; ascoltare significa mettersi in condizione di decodificare ciò che è oscuro, confuso o muto, per far apparire alla coscienza il ‘di sotto’ del senso (ciò che è vissuto, postulato, voluto come nascosto. La comunicazione che implica questo secondo tipo di ascolto è religiosa: essa collega il soggetto ascoltatore col mondo occulto degli déi che, come si sa, parlano una lingua di cui giunge agli uomini solo qualche enigmatico frammento, mentre -crudele situazione- è vitale per loro comprenderla. ASCOLTARE è il verbo evangelico per eccellenza: la fede è tutta ricondotta all’ascolto della parola divina e, attraverso l’ascolto, l’uomo si lega a Dio. (…) / 243- Mentre il primo tipo di ascolto trasforma il rumore in indizio, questo secondo trasforma l’uomo in soggetto duale: l’interpellazione porta a una interlocuzione, nella quale il silenzio dell’ascoltatore sarà attivo quanto la parola del locutore: l’ASCOLTO PARLA (…)
243- L’inconscio, strutturato come un linguaggio, è l’oggetto di un ascolto particolre e insieme esemplare: quello dello psicanalista. /246- La voce sta al silenzio come la scrittura sta alla carta bianca. L’ascolto della voce inaugura la relazione con l’altro (…) [la voce] trasmette un’immagine del corpo [degli altri] e al di là di questa tutta una psicologia (si può parlare di voce calda, bianca ecc.) A volte la voce di un interlocutore colpisce più del contenuto del suo discorso e ci si sorprende ad ascoltarne le modulazioni e le oscillazioni senza capire che cosa dica. (…) La voce che canta: questo lo spazio ben definito 247-entro cui una lingua incontra una voce e lascia intendere, a chi sa porgervi ascolto, quella che potrebbe dirsi la sua ‘grana’; LA VOCE NON E’ SOFFIO, BENSI’ LA MATERIALITA’ DEL CORPO CHE SGORGA DALLA GOLA [= GRANA], là dove si forgia il metallo fonico. (…) L’ascolto [psicanalitico] è questo gioco di cattura dei significanti, in virtù del quale l’IN-FANS diventa un essere parlante. (…) 248- Il mito di Ulisse e delle Sirene non dice come potrebbe essere un ascolto riuscit; è possibile piuttosto vederlo come in negativo fra gli scogli che deve a tutti i costi evitare il navigatore psicanalista [tapparsi le orecchie come fece l’equipaggio, giocare d’astuzia e dar prova di debolezza come fece Ulisse, oppure rispondere all’invito delle Sirene e scomparire].
248- Nei sogni l’udito non è mai sollecitato. Il sogno è un fenomeno strettamente visivo, e anche ciò che è diretto all’orecchio viene in esso percepito visivamente. Si potrebbe dire che si tratta di immagini acustiche.
249- [Che cos’è l’ascolto moderno: 1-] Mentre per secoli è stato possibile definire l’ascolto come un atto intenzionale di audizione (ASCOLTARE significa VOLER sentire, in modo pienamente cosciente), attualmente gli si riconosce il potere e quasi la funzione, di esplorare terreni sconosciuti: nel campo dell’ascolto è incluso non solo l’inconscio, nel senso topico del termine, ma anche, se così si può dire le sue forme laiche: l’implicito, l’indiretto, il supplementare, il differito. L’ascolto apre a tutte le forme di polisemia, di sovradeterminazione, di sovrapposizione, disgregando la Legge che prescrive l’ascolto diretto, univoco. [2] I ruoli impliciti nell’atto di ascolto non sono più considerati fissi come un tempo: non c’è più da una parte chi parla, si confida, confessa e dall’altra chi ascolta, tace, valuta e sanziona. (…) Mentre le società tradizionali conoscevano due luoghi di ascolto, entrambi alienati- l’ascolto arrogante del superiore e quello servile dell’inferiore (o dei loro sostituti)- questo paradigma è attualmente contestato , anche se in modo, bisogna dire, ancora grossolano e forse inadeguato: si crede che per liberare l’ascolto basti prendere la parola, quando invece un ascolto libero è essenzialmente un ascolto che circola e scambia, che disgrega con la sua mobilità, la rete rigida dei luoghi di parola. Non è possibile immaginare una società libera, se si accetta che in essa vengano mantenuti gli antichi luoghi di ascolto: quelli del credente, del discepolo, del paziente. [3] Ciò che viene ascoltato (soprattutto nel settore dell’arte la cui funzione è spesso utopica) non è la presenza di un significato, oggetto di riconoscimento o di decifrazione, ma la dispersione stessa, il gioco di specchi di significanti, senza sosta riproposti da un ascolto che ne produce continuamente di nuovi, senza mai fissare il senso. Tale gioco di specchi è la SIGNIFICANZA, distinta dalla significazione: nell’ascoltare un brano di musica classica l’ascoltatore è chiamato a ‘decifrarlo’, cioè a riconoscerne (con la sua cultura, attenzione, gusto) la costruzione codificata -ossia predeterminata-al pari di quella di un palazzo dell’epoca. Viceversa nell’ascoltare una composizione (si prenda il termine in senso etimologico) di Cage, si ascolta un suono dopo l’altro, non nella sua estensione sintagmatica, bensì nella sua significanza bruta e come verticale; in quella decostruzione l’ascolto si esteriorizza, obbliga il soggetto a rinunziare alla sua ‘intimità’. (…) Ciò vale anche, mutatis mutandis, per molte forme di arte contemporanea,(…) certo non senza contrasti, dato che non v’è alcuna legge che possa obbligare il soggetto a provare piacere quando non ne ha alcuna intenzione (…); né esiste una legge che possa costringere ad ascoltare : la libertà dell’ascolto è necessaria quanto la libertà di parola. /L’ascolto, questa nozione apparentemente modesta, (…) è in fondo come un piccolo teatro sul quale si affrontano due moderne deità, l’una negativa e l’altra positiva: il potere e il desiderio.
252- Ci sono due tipi di musica (…): quella che si ascolta, quella che si suona. Queste due musiche sono arti completamente diverse e ciascuna di esse possiede, a titolo individuale, una storia, una sociologia, un’estetica e un’erotica (…) / La musica che si suona è costituita da un’attività non tanto uditiva quanto manuale (dunque in un certo senso molto più sensuale): è la musica che voi ed io possiamo suonare, soli o tra amici, senza nessun pubblico tranne i presenti (senza alcun rischio di teatralità o di isterismi). E’una musica muscolare (…) Tale musica non esiste più: legata un tempo alla classe oziosa (aristocratica), con l’avvento della borghesia democratica è decaduta a rito mondano (il piano, la fanciulla, il salotto, il notturno); poi è scomparsa (chi suona il piano oggi?) [282- Durante il XIX secolo, il piano è stato certamente un’attività di classe, ma abbastanza generale per coincidere, grosso modo, con l’ascolto della musica. Io stesso ho iniziato ad ascoltare le sinfonie di Beethoven suonandole a quattro mani con un caro amico (…) Ma ora l’ascolto della musica si è dissociato dalla pratica: virtuosi, ne esistono molti; ascoltatori, una massa; ma praticanti, dilettanti, molto pochi.] La musica pratica va ricercata in Occidente in un altro pubblico, in un altro repertorio, in un altro strumento (i giovani, la canzonetta, la chitarra). Parallelamente la musica passiva, ricettiva, la musica sonora è diventata LA musica (quella del concerto, del festival, del disco, della radio). Non si suona più; l’attività musicale non è più manuale, muscolare, impastatrice, bensì solo liquida, effusiva, ‘lubrificante’, per usare un termine di Balzac. Anche l’esecutore è cambiato. Il dilettante, ruolo definito più da uno stile che da un’imperfezione tecnica, non si trova più da nessuna parte; i professionisti, gli specialisti puri la cui formazione è del tutto esoterica per il pubblico (chi conosce ancora i problemi della psicologia musicale?) non presentano più quello stile del dilettante perfetto, il cui valore poteva ancora essere riconosciuto in un Panzéra, perché suscitava in noi non tanto la soddisfazione quanto il desiderio, quello di fare della musica. Insomma, prima c’è stato l’attore della musica, poi l’interprete (grande voce romantica), infine il tecnico, che impedisce all’ascoltatore qualsiasi attività, anche per procura, e abolisce nell’ordine della musica il pensiero stesso del fare. L’opera di Beethoven sembrava legata a questa problematica storica (…) Per il XIX secolo (…) Beethoven è stato il primo uomo LIBERO della musica(…) /254- Ora, questa immagine romantica (…) produce disagio nell’esecuzione: il dilettante non può più padroneggiare la musica di Beethoven, non tanto per le difficoltà tecniche quanto per la mancanza del CODICE della MUSICA PRATICA precedente. /256- Come la lettura di un testo moderno (quale almeno può essere postulata, richiesta) non consiste nel ricevere, conoscere o sentire quel testo, ma nel riscriverlo, nel traversare la sua scrittura con una nuova iscrizione, così leggere questo Beethoven significa OPERARE la sua musica, attirarla (vi si presta) in una PRASSI sconosciuta. (…) COMPORRE è almeno tendenzialmente, DARE DA FARE, non dare da sentire, ma dare da scrivere. Il luogo moderno della musica non è la sala, ma la scena in cui i musicisti trasmigrano in un movimento talora pieno di luce, da una fonte sonora all’altra. Ma possiamo immaginare che -più tardi? – il concerto diventi esclusivamente un atelier, dal quale non trabocchi nulla, nessun sogno nessun immaginario, in una parola nessuna ‘anima’ e dove tutto il fare musicale sia assorbito in una prassi SENZA RESTO. È questa utopia che un certo Beethoven, che non è suonato, ci insegna a formulare -ciò in cui è possibile presentire in lui il musicista d’avvenire.
257- La lingua, secondo Benveniste, è il solo sistema semiotico in grado di INTERPRETARRE un altro sistema semiotico. (…) Come si comporta dunque la lingua quando deve interpretare la musica? (…) La musica, per sua natura, richiama immediatamente un aggettivo. E’ inevitabile : questa musica è questo, questa interpretazione è quello (…) C’è un immaginario della musica la cui funzione è quella di rassicurare, di costituire il soggetto che la ascolta (la musica sarebbe dunque pericolosa? (…)) (…) A questo punto si dovrebbe raccogliere un dossier storico perché la critica definitoria (o l’interpretazione predicativa) ha assunto in certi secoli un aspetto istituzionale: l’aggettivo musicale diventa in effetti legale ogni volta che postula un ethos della musica , ogni volta cioè che gli si attribuisce un modo regolare ( naturale o magico) di significazione). [Bisognerebbe cambiare oggetto della musica, studiare la zona di contatto tra musica e linguaggio -> una lingua incontra una voce: la grana della voce] [Voce senza grana e cultura media] 262-Questa cultura definita dall’estensione dell’ascolto e la scomparsa della pratica (non ci sono più dilettanti) deriva dall’arte, dalla musica, a patto che queste ultime siano ‘chiare’, che ‘traducano’ un’emozione e rappresentino un significato (il ‘senso’ del poema): arte che vaccina il piacere (riducendolo a un’emozione già nota, codificata) e riconcilia il soggetto con quanto nella musica PUO’ ESSERE DETTO: ciò che ne dicono, predicativamente, la Scuola, la Critica, l’Opinione.
266- Oggi sembra esserci, sotto la pressione del microsolco di massa, un appiattimento della tecnica : questo appiattimento è paradossale: tutti i giochi sono appiattiti NELLA PERFEZIONE: non c’è più che feno-testo [vs geno- testo = grana della voce-> Kristeva] / va da sé che la semplice considerazione del ‘grano’ musicale potrebbe realizzare una storia della musica diversa da quella che conosciamo (quella è solo feno-testuale): se riuscissimo a rendere più raffinata una certa ‘estetica’ del piacere musicale, accorderemmo certamente meno importanza alla formidabile rottura tonale compiuta dalla modernità.
267- Ogni interpretazione, così mi sembra, ogni discorso interpretativo, si fonda su una posizione di valori , su una valutazione. Tuttavia, quasi sempre nascondiamo questo fondamento: per idealismo o per scientismo , travestiamo la valutazione fondatrice: nuotiamo nell’ ‘elemento INDIFFERENTE (= SENZA DIFFERENZA) DI CIO’ CHE VALE IN SE’, o di CIO’ CHE VALE PER TUTTI (Nietzsche, Deleuze). / La musica ci risveglia proprio da questa indifferenza di VALORI. Non c’è discorso sulla musica che non si fondi sulla differenza -sulla valutazione. Nel momento in cui ci parlano della musica -o di una certa musica- come di un valore in sé, o al contrario -ma è lo stesso- quando ci parlano della musica come di un valore per tutti- cioè quando ci viene detto che bisogna amare tutte le musiche- sentiamo una cappa ideologica cadere sulla materia più preziosa della valutazione, la musica: si tratta 268- del ‘commento’. Perché il commento è intollerabile, [per quanto si classifichi, si commenti storicamente, sociologicamente, esteticamente, tecnicamente la musica, ci sarà sempre un RESTO, un supplemento, un lapsus, un non detto che si designa da solo: la voce] la musica ci obbliga alla valutazione, ci impone la differenza – salvo poi cadere in un discorso inutile , il discorso della musica in sé o della musica per tutti. / La voce umana è il luogo privilegiato (eidetico) della differenza. (…) non c’è nessuna voce umana al mondo che non sia oggetto del desiderio -o di rifiuto: non esiste voce neutra -e se talvolta questo neutro, questo bianco arriva a manifestarsi, ci terrorizza come se scoprissimo con spavento un mondo irrigidito in cui il desiderio è morto. Ogni rapporto con una voce è necessariamente amoroso, ed è perciò che la differenza della musica, come la sua necessità di valutazione, di affermazione, si manifesta nella voce.
269- [la melodia francese] (…) non è esattamente il versante francese del lied tedesco; grazie al romanticismo il lied, per quanto colta sia la sua forma, partecipa di un essere tedesco che era popolare e nazionale al tempo stesso. L’ecologia, per così dire, della melodia francese è differente: il suo luogo di nascita, di formazione e di fruizione, non è popolare, ed è nazionale (francese) solo perché le altre culture non se ne curano; questo luogo è il salotto borghese. [melodia francese = campo di celebrazione della lingua francese colta]/270- Oggi nasce una nuova lingua francese, non proprio per l’azione delle classi popolari, ma per quella di una classe di età (le classi marginali sono diventate oggi realtà politiche), i giovani; separata dalla nostra lingua, esiste una parlata giovane, di cui il pop è l’espressione musicale./271- [articolare-> arte ideologica dell’espressività = drammatizzazione vs pronunciare con chiarezza].
273- La musica, come la significanza -non ha a che fare con nessun metalinguaggio, ma solo con un discorso del valore, dell’elogio: di un discorso amoroso: ogni relazione ‘riuscita’ -riuscita in quanto giunge a dire l’implicito senza articolarlo, a superare l’articolazione senza cadere nella censura del desiderio o nella sublimazione dell’indicibile- una tale relazione può a buon diritto essere detta MUSICALE. Forse una cosa può valere solo per la sua forza metaforica; forse è questo il valore della musica: essere una buona metafora.
274- Ogni discorso sulla musica può iniziare, mi sembra, solo con l’evidenza.
275- Va ricordato a questo punto che la classificazione delle voci umane -come ogni classificazione elaborata da una società- non è mai innocente. Nei cori contadini delle antiche società rurali, le voci maschili rispondevano alle voci femminili: con questa semplice divisione dei sessi , il gruppo mimava i preliminari dello scambio, del mercato matrimoniale. Nella nostra società occidentale, attraverso i quattro registri vocali dell’opera è l’Edipo che trionfa: tutta la famiglia è lì, padre, madre, figlia e figlio, proiettati simbolicamente, quali che siano i percorsi dell’aneddoto e le sostituzioni di ruoli, nel basso, nel contralto, nel soprano e nel tenore. Il lied dimentica in certo modo queste quattro voci familiari (…) Non c’è ‘famiglia’ vocale, solo un soggetto umano, per così dire UNISEX, nella misura in cui è innamorato: perché l’amore – l’amore-passione, l’amore romantico- non si preoccupa né dei sessi, né dei ruoli sociali. C’è un fatto storico che non può essere privo di significato: è proprio quando i castrati scompaiono dall’Europa musicale, che il lied romantico appare e raggiunge subito il massimo splendore; al castrato nella sua effigie pubblica, segue un soggetto umano complesso, la cui castrazione immaginaria si interiorizza.
276- Nella sua massa, il lied romantico nasce nel cuore di un luogo finito, centrato, raccolto, intimo, familiare che è il corpo del cantante – e dunque perciò dell’ascoltatore. Nell’opera [settecentesca] ciò che conta è il timbro sessuale della voce (basso/tenore, soprano/contralto). Nel lied al contrario è la tessitura (…) Tutta la musica romantica, vocale o strumentistica, dice questo canto del corpo naturale: è una musica che non ha senso se non perché io possa cantarla dentro di me con il mio corpo. (…) Perché CANTARE, nel senso romantico, è questo: godere fantasmaticamente del mio corpo unificato. [corpo unificato vs corpo separato = fantasma vs abbandono?] /278- L’opera colloca in voci diverse, per così dire, conflitti esterni, storici, familiari: nel lied, la sola forza reattiva, è l’assenza irrimediabile dell’essere amato: lotto con un’immagine che è l’immagine dell’altro, desiderata, perduta e nello stesso tempo con la mia propria immagine , desiderante, abbandonata.
281- Schumann è senza dubbio un musicista per pianoforte. E il piano come strumento sociale (ogni strumento musicale, dal liuto al clavicembalo, al sassofono implica un’ideologia) da circa un secolo ha subito un’evoluzione storica di cui Schumann è vittima. E’ cambiato il soggetto umano: l’interiorità, l’intimità, la solitudine hanno perso il loro valore, l’individuo è sempre più diventato gregario, vuole musiche collettive, massicce, spesso parossistiche, espressione del NOI, più che dell’IO. Ora Schumann è veramente il musicista dell’intimità solitaria, dell’anima innamorata e raccolta che PARLA A SE STESSA, (…) in breve del bambino che non ha altro legame se non quello con la Madre. / [chiarezza francese vs sentimentalismo tedesco] / 282- [Il piano di Schumann] è un piano intimo (che non significa dolce), o ancora: un piano PRIVATO, individuale, restio all’approccio professionistico, perché suonare Schumann implica una INNOCENZA della tecnica che ben pochi artisti sanno raggiungere. / 283- [corpo = intimità vs universalità/ 283 Schuman, le forme brevi e il Carnevale vs 286- La nostra epoca, soprattutto dall’avvento con il disco della musica di massa vuole le belle immagini dei grandi conflitti ( Beethoven, Mahler, Caikovskij)]
286- Amare Schumann (…) è in un certo senso assumere una filosofia della Nostalgia o, riprendendo un’espressione nietzschiana, dell’Inattualità, o ancora, azzardando un termine più schumanniano, della Notte. L’amore per Schumann, in quanto risulta oggi in certo modo CONTRO l’epoca (…) può essere solo un amore responsabile: porta fatalmente il soggetto che lo prova e lo pronuncia a porsi nel suo tempo secondo le ingiunzioni del suo desiderio e non secondo quelle della sua socialità.
294- Sono queste FIGURE DEL CORPO (i ‘somatemi’) il cui tessuto forma la significanza musicale (niente più grammatica o semiologia musicale: derivata dall’analisi specialistica -reperimento e concatenazione di ‘temi’, ‘cellule’, ‘frasi’- rischierebbe di passare di fianco al corpo; i trattati di composizione sono oggetti ideologici, il cui senso è quello di annullare il corpo). Queste figure del corpo, che sono figure musicali, non sempre riesco a nominarle. Perché per tale operazione è necessaria una potenza metaforica (come direi il mio corpo se non in immagini?) e questa capacità talvolta può mancarmi: qualcosa si agita in me, ma non trovo la metafora adatta. (…) Quando la scrittura trionfa, essa diventa scienza, incapace di rendere il corpo: solo la metafora è esatta; e basterebbe essere SCRITTORI per poter rendere conto di questi esseri musicali , di queste chimere corporee, in modo perfettamente SCIENTIFICO. / ‘Anima’, ‘sentimento’, ‘cuore’ sono i nomi romantici del corpo. / 395- La semiologia classica non si è interessata affatto al referente; ciò era possibile (e senza dubbio necessario) perché nel testo articolato c’è sempre lo schermo del significato. Ma nella musica, campo di significanza, e non sistema di segni, il referente è indimenticabile, perché il referente qui è il corpo. Il corpo passa nella musica senza altro tramite che il significante. Questo passaggio -questa trasgressione- fa della musica una follia: non soltanto la musica di Schumann ma ogni musica. Al contrario dello scrittore il musicista è sempre folle (e lo scrittore non può mai esserlo, perché è condannato al senso).
296- (Per restare al testo schumanniano) la tonalità fornisce al corpo la più forte, la più costante delle figure oniriche: la salita (o la discesa) delle scale. Com’è noto, vi è una scala di toni, e percorrendo questa scala (secondo umori diversissimi) il corpo vive nell’affanno, nella fretta, nel desiderio, nell’angoscia, nella salita dell’orgasmo ecc. / Insomma, la tonalità può avere la funzione di EVIDENZIARE (fa parte della struttura paragrammatica del testo musicale). Quando il sistema tonale scompare (oggi), questa funzione passa a un altro sistema, quello dei timbri. La ‘timbralità’ (la rete dei colori del timbro) assicura al corpo tutta la ricchezza dei suoi ‘colpi’ (tintinnii, scivolamenti, arresti, bagliori, vuoti, dispersioni ecc.) Sono dunque i ‘colpi’ -i soli elementi strutturali del testo musicale- a costituire la continuità transtorica della musica, qualunque sia il sistema (di per sé perfettamente storico) in cui il corpo che batte si aiuta per enunciarsi. / Le indicazioni di movimenti, di atmosfera, sono generalmente appiattite nel codice italiano (presto, animato ecc.) che è un codice puramente tecnico. Trasferite in un’altra lingua (originale o sconosciuta) le parole della lingua aprono la scena del corpo. (…) come se, nei confronti della musica la lingua materna occupasse il posto della CHORA (nozione che Julia Kristeva riprende da Platone): la parola indicatrice è il ricettacolo della significanza. [Bewegt, Aufgeregt, Innig, Ausserst innig, Ausserst bewegt, Rasch]
298. In un testo famoso Benveniste oppone due regimi di significazione: il semiotico, ordine dei segni articolati, ciascuno dei quali è fornito di un senso (come il linguaggio naturale), e il semantico, ordine di un discorso in cui nessuna unità è in sé significante, anche se l’insieme è provvisto di significanza. La musica, dice Benveniste, appartiene al semantico (e non al semiotico) perché i suoni non sono segni (nessun suono ha in sé un senso). Di conseguenza, dice ancora Benveniste, la musica è una lingua che ha una sintassi, ma non una semiotica.