I conflitti di classe tagliano trasversalmente i confini degli Stati (2025)

9- Undici tesi sulla cittadinanza nello Stato capitalista

13- [Due concezioni della COMUNITA’ POLITICA: 1. Concezione progressista e civica (ideale universale e inclusivo = ideale lungimirante e trasformativo della comunità politica democratica) ≠ 2. Concezione etnico culturale (= ideale particolaristico ed escludente = comunità politica retrograda e conservatrice)] / [Cittadinanza e diritti politici che ne conseguono vs test di competenza linguistica e civica ≈ negazione del diritto di voto a dialettofoni e analfabeti (nel passato)] / In passato le battaglie per la cittadinanza e per l’espansione del diritto di voto erano parte di una lotta attiva per la progressiva inclusione di gruppi sociali precedentemente emarginati e senza diritti: i poveri, i lavoratori, le donne, gli abitanti delle colonie /14- La cittadinanza da mezzo per tutelare i membri vulnerabili della comunità politica a strumento per consolidare le divisioni di classe, di genere e di etnia [= radici reificanti dell’esclusione] -> gruppi emergenti: poveri, donne, lavoratori, abitanti delle colonie] / [Socialdemocrazia e concezione anticapitalista della democrazia-> cittadini con voto (= soci virtuali di un’impresa cooperativa mirata a promuovere il bene della comunità politica nel suo insieme _> Cfr. Bernstein= fondatore della socialdemocrazia moderna-> in democrazia le classi e i partiti imparano i limiti del loro potere, cioè l’arte del compromesso vs ‘partiti della verità’ la cui azione è senza limiti? N.M.) -> Valutazione ottimistica dei un’epoca passata: la mobilitazione politica tesa ad ampliare il diritto di voto produceva la rimozione graduale delle barriere relative a proprietà, alfabetizzazione, competenze tecniche] /ERA DELLA CITTADINANZA ESPANSIVA (ieri) [Dove la democrazia prometteva di sanare la comunità politica dagli effetti potenzialmente distruttivi del conflitto di classe] vs ERA DELLA CITTADINANZA RESTRITTIVA (oggi) [In cui la lotta non può più essere moderata da istituzioni e contenuta entro i canali standard della partecipazione politica] / IDEALE INCLUSIVO DELLA DEMOCRAZIA (fatto proprio da gruppi progressisti e democratici, da socialdemocrazie e partiti di sinistra) vs IDEA DI CITTADINANZA PER POCHI, DA COMPRARE E VENDERE COME UNA MERCE = 15- cittadinanza emancipativa vs cittadinanza escludente = politica civica democratica vs etno-politica = cittadinanza universalistica e progressista vs cittadinanza conservatrice/ [movimenti e partiti di sinistra] contro politiche che rafforzano le strutture di classe degli stati liberali contemporanei e pro misure diverse per integrare migranti: 1. Contro test integrazione culturale; 2. Contro pratiche di mercificazione della cittadinanza; 3. Pro abolizione pratiche di ammissione che attestano i mezzi posseduti dai migranti / 17. Politiche di cittadinanza e attuali restrizioni all’integrazione dei migranti sono un prisma attraverso cui osservare la trasformazione da uno Stato democratico a un Apparato oligarchico (élite oligarchica) / Degenerazione dell’ideale democratico della cittadinanza in strumento di oppressione delle minoranze [ su migranti come cittadini vulnerabili] / 17- Le esclusioni all’interno degli Stati e fra gli Stati servono a radicare un ordine economico [Capitalismo, produttività] -> LIMITARE L’ACCESSO ALLA CITTADINANZA A CHI HA POCHI MEZZI, A CHI E’ POCO ISTRUITO, A CHI NON POSSIEDE COMPETENZE CIVICHE-> Se questo approccio esclusivo e gerarchico rimane incontrastato produce il male di tutti] /

19- Classe sociale, migrazione e integrazione

20- [Pro accordo equo che riconosca sia rivendicazioni di immigrati, sia rivendicazioni di cittadini] / 24 [Frontiere aperte e controllo dei confini-> Frontiere aperte vs Welfare State = ‘o la borsa o la vita’] / Gli oneri dell’ammissione e dell’integrazione non sono sostenuti in egual misura da tutti gli immigrati e da tutti i nativi [Ci sono immigrati ricchi e immigrati poveri, come ci sono nativi ricchi e poveri -> 26-Politica di ammissione per punti  in Canada, Australia, Danimarca, Regno Unito e Germania -> più competenze (talenti, produttività)= ammissione più facile a membro del Paese (=comunità politica) con ricompense relative / 29- Analisi basata su ostacoli incontrati da immigrati e nativi meno abbienti – DECLINO DEI SINDACATI E ASCESA DEI PARTITI POPULISTI -> difficoltà di un’efficace rappresentanza parlamentare per tutti coloro che non dispongono di risorse adeguate, sia immigrati, sia nativi / I conflitti distributivi legati all’immigrazione dovrebbero essere considerati non come ingiustizie a sé stanti ma come prodotti di una comune oppressione per i cittadini vulnerabili, siano essi nativi o migranti [vs compromesso tra Welfare State e politica di immigrazione più liberale] / 30- [Due premesse che i critici della libertà di movimento tipicamente fanno nell’analizzare il conflitto tra migranti e cittadini nativi : 1. Problemi tra immigrazione e conservazione del Welfare State [Ma in termini empirici i migranti per le democrazie liberali sono più spesso una risorsa che un peso (per es.: forniscono un contributo fiscale positivo, colmano le carenze dell’offerta di lavoro, compensano il calo dei tassi di fertilità, contribuiscono allo sviluppo del capitale umano nelle società ospitanti) -> 31- E’ improbabile che il cosmopolitismo delle frontiere aperte possa mobilitare, senza una mediazione politica adeguata, i cittadini della classe lavoratrice convinti che gli immigrati rappresentino una minaccia per la propria sicurezza e per il proprio lavoro e che decidono di votare in base a una percezione della realtà politica definita da categorie dell’ultradestra (Le Pen, Meloni, Trump); 2. L’unità di analisi per la distribuzione di benefici e oneri condivisi dovrebbe essere lo Stato [?] -> [Ma la discussione potrebbe essere diversa se prendessimo come unità di analisi non lo Stato ma una comunità più ampia di interessi transnazionali o addirittura una società cosmopolitica] / 37- [Tramonto dell’ideale di cittadinanza] Mentre i democratici di tutto il mondo hanno combattuto con successo per l’estensione del diritto di voto [che ancora nel 1918 era escluso per le donne sotto i 30 anni e con meno di 5 sterline di rendita]. L’interpretazione dei problemi esclusivamente in chiave identitaria [test linguistici e di competenza civica] e a scapito della classe sociale come una grave minaccia all’ideale della cittadinanza democratico [IN BASE ALLA REIFICAZIONE DELLA CULTURA NAZIONALE, lingua vs dialetto, cultura nazionale vs culture locali]

39- La sinistra tra solidarietà civica e solidarietà di classe

40- [Il dilemma dei progressisti = il presunto compromesso tra sostegno al Welfare State e immigrazione] L’immigrazione su larga scala – è questa l’argomentazione- crea conflitti sia distributivi sia culturali che portano all’erosione sia della solidarità sia della giustizia sociale. Da un punto di vista distributivo le migrazioni aumentano la pressione per ottenere posti di lavoro, accesso all’assistenza sanitaria, agli alloggi, alla scuola e fanno inoltre vacillare la posizione dei cittadini vulnerabili che dipendono dai sussidi statali per condurre una vita dignitosa. Da un punto vista culturale le migrazioni su larga scala -ci viene detto- trascinano con sé divisioni culturali che minano le relazioni di fiducia e di identificazione necessarie per stabilizzare la democrazia nei paesi ospitanti. La solidarietà intesa come un sentimento di reciproco riconoscimento acquisito attraverso la partecipazione democratica è messa a repentaglio dalla diversità culturale, è minacciata dall’adesione a norme politiche e culturali alternative, potenzialmente illiberali che le migrazioni portano con sé. Anche la giustizia sociale (= accesso equo a opportunità politiche e sociali, all’interno di una comunità democratica [=comunità di cooperazione?]) è sotto minaccia /42- [Finora la risposta al dilemma progressisti da parte degli attori politici] è stata una riflessione sui diversi MODELLI DI APPARTENENZA POLITICA che ci permettono di tener testa al mondo globalizzato-> Le principali soluzioni poggiano su un racconto della solidarietà al di là dello Stato nazione: da un lato la solidarietà multiculturale, dall’altro la solidarietà transnazionale. La difesa di questi modelli è avvenuta a scapito di un terzo modello, quello di classe [Questi modelli di appartenenza politica predetti invece di sfidare il modello di solidarietà liberale dello Stato nazione tendono solo a renderlo più diversificato al suo interno (caso multiculturale) o ad ampliarlo (caso sovra-nazionale).1. il caso di Canada e GB si basa sull’idea che una comunità politica diversificata debba tendere non ad assimilare i gruppi culturali divesi, bensì ad accoglierne le rivendicazioni, consentendo loro di perseguire stili di vita variegati e di difenderne norme culturali e linguistiche distintive, di integrarsi con modalità che non siano imposte da una maggioranza culturale dominante; 2. Il caso sovranazionale si basa sull’idea che, dati i vincoli della globalizzazione, nella sfera d’azione degli Stati nazionali, i modelli di cooperazione regionale o trans-nazionale possano coordinare meglio le misure di cooperazione, al di là dei confini nazionali [per es. UE], modelli di cooperazione da adottare quando si tratta di promuovere diritti umani e libertà fondamentali / 46-[Il vincolo speciale di lealtà presupposto da tutti i membri di uno schema cooperativo continuano a essere centrali, sia nel modello multiculturale che in quello sovranazionale, che adattano l’ideale di comunità politica liberal-democratica alle mutevoli circostanze-> Stato nazione = una lingua, una storia, una tradizione politica condivisa come base per la distribuzione degli obblighi giuridici nel lungo periodo [Stati multiculturali = più lingue, più storie, più tradizioni -> Lo Stato sovranazionale adatta l’ideale della cooperazione tra cittadini liberi ed uguali di una comunità politica alla sfera sovranazionale] /48- IL PROBLEMA E’ CHE LO STATO LIBERALDEMOCRATICO E’ STATO UN CAMPO DI LOTTE ANZICHE’ DI COOPERAZIONE [Lo Stato si è consolidato parallelamente allo sviluppo delle strutture del mercato globale capitalista (…) e quindi ha radicato asimmetrie nella distribuzione della proprietà e delle gerarchie di potere e delle forme di esclusione che hanno portato a un riconoscimento puramente formale di diritti e doveri uguali, con scarsi benefici sostanziali per i gruppi sociali più vulnerabili [minoranze vulnerabili: donne, lavoratori, persone di colore] [sia all’interno, sia a livello internazionale (le colonie) del cui lavoro hanno approfittato i membri delle classi (privilegiate)] /51- Nel modello di classe la comunità politica è intesa come luogo di conflitto tra gruppi con diverse relazioni di potere, risultato della loro posizione all’interno della strutture economiche, giuridiche e politiche che compongono il mondo globalizzato. Qui le classi non vanno intese né come gruppi sociali preesistenti determinati esclusivamente da particolari processi economici, né come aggregati accidentali di opportunità sociali. Esse sono il prodotto di processi di strutturazione di classe che prendono forma dalle condizioni materiali dello sviluppo storico, dall’evoluzione di asimmetrie nella concentrazione della proprietà e nel potere sociale e dall’influenza di fattori economici, politici, giuridici, ideologici che regolano i rapporti di potere. In un mercato globale interdipendente ma dominato dagli interessi di espansione e di concentrazione del capitale / [I modelli di solidarietà, di comunità politica sono in contrasto tra loro perché basati nelle prime due forme (multiculturalismo e sovranazionalismo) sulla cooperazione e nella terza sul conflitto] /58- [Lettera di Marx a S. Meyer e A. Vogt sull’immigrazione irlandese in Inghilterra-> ‘Ogni centro industriale e commerciale possiede ora una classe lavoratrice divisa in due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi’, ‘l’operaio inglese rapportandosi a quello irlandese si sente ‘un membro della nazione dominante e si trasforma così in uno strumento degli aristocratici e dei capitalisti del proprio paese contro l’Irlanda, rafforzando così il loro dominio su di sé’. Di fronte all’emergere della questione migratoria i lavoratori nativi si identificano con il proprio Stato, trasformano lo sfruttamento da parte delle élite dominanti e la propria ostilità contro di esso e difendono i diritti e i guadagni associati alla democrazia parlamentare liberale. Quando i movimenti e i partiti politici di sinistra accettano l’interpretazione secondo cui i lavoratori stranieri minacciano le conquiste sociali e i posti di lavoro interni, implicitamente aderiscono ad un’analisi dello Stato quale sistema unitario di cooperazione./ 60- [ Colonialismo come condizione che ha permesso all’élite interna di fare concessioni ai lavoratori] /61- [Cittadini vulnerabili danneggiati ed élite ricche avvantaggiate dalle migrazioni] / Per comprendere il capitalismo dobbiamo intendere i conflitti politici come conflitti non tra Stati e gruppi con profili culturali diversi, ma tra classi diverse. E’ questa una delle linee teoriche principali lungo le quali il pensiero socialista si è discostato dal precedente pensiero illuminista per il quale le unità di analisi, gli agenti collettivi della storia del mondo erano le nazioni e gli Stati./ 62- [Modello di solidarietà di classe vs racconto liberale basato sull’appartenenza politica che pervade i modelli multiculturali e i modelli sovranazionali] / Dal punto di vista del modello di classe, i modelli multiculturale e sovranazionale non riusciranno ad affrontare i conflitti suscitati dalle migrazioni a meno che non intervengano per risolvere le disuguaglianze di potere e le gerarchie tra le classi sociali all’interno dello Stato, così come tra gli Stati / [Il modello comunitario di appartenenza politica è mal equipaggiato per risolvere queste asimmetrie e pone l’accento sugli accordi contrattuale anziché sulle relazioni di potere, sulla cooperazione anziché sul conflitto] -> Un’analisi del mercato globale alla luce dello sviluppo del capitalismo così come sul ruolo degli Stati nel sostenerne l’espansione mette in luce che i principali assi del conflitto nella storia non sono le nazioni né gli Stati, ma le diverse classi sociali. Classi sociali differenti delimitano allineamenti differenti collettivi rispetto ai processi globali di produzione e di scambio, che sono inoltre storicamente caratterizzati / I CONFLITTI DI CLASSE TAGLIANO TRASVERSALMENTE I CONFINI DEGLI STATI / 63- Naturalmente gli Stati fanno le leggi (…) Ma il peso morale della distinzione tra lavoratori migranti e lavoratori nativi è secondario rispetto all’identificazione della causa dei lavoratori, con la causa dei lavoratori dello Stato in cui si trovano a vivere. Si tratta di un’associazione meramente contingente e non pertinente alla lotta nel suo complesso / Conseguenze drammatiche per la direzione dei partiti di sinistra quando decidono di abbandonare l’organizzazione basata sulla classe per fare dell’appartenenza comunitaria politica la propria priorità [ = prendere le parti dello Stato contro i lavoratori] / L’alternativa di classe va costruita politicamente e sarebbe ingenuo aspettarsi un esito elettorale chiaramente vincente nel breve termine [pro progetti politici contro-egemonici] -> 64- se non sfidiamo i discorsi di esclusione anche nel breve periodo, rischiamo di diventarne ostaggio nel lungo periodo / 65- [Solidarietà basata su appartenenza politica comunitaria vs solidarietà di classe] / 66- E’ falso sostenere che le frontiere aperte rappresentano un problema solo per i lavoratori interni vulnerabili e sono bene accolte dalle élite del potere [contro Sara Wagenknecht?] .> Sotto il capitalismo i datori di lavoro non prediligono la circolazione delle persone in quanto tali. Prediligono il movimento di persone senza diritti. Prediligono l’azione di un ente politico come lo Stato capitalista [o istituzioni similari] che può controllare unilateralmente le pratiche di ingresso e dunque assoggettare i migranti e i lavoratori nativi vulnerabili alla discrezionalità delle élite dominanti / L’ultima cosa che un movimento di sinistra che ha a cuore il destino dei lavoratori dovrebbe fare è sostenere un progetto che consolida lo Stato capitalista invece di minarlo / Il nemico dei lavoratori nativi non sono i lavoratori migranti ma lo Stato capitalista che protegge gli interessi delle élite dominanti attraverso pratiche di gestione dei confini e politiche di integrazione che rendono i lavoratori migranti dipendenti dalle pressioni dei datori di lavoro/ Tre vulnerabilità condivise [tra migranti e nativi]: 1. meccanismi di controllo dei lavoratori; 2. Minaccia al potere di contrattazione dei sindacati; 3. Aumento dell’esercito di riserva dei lavoratori di cui parlava Marx / La gestione dei lavoratori da parte dello Stato è ‘il segreto attraverso cui la classe capitalista mantiene il proprio potere’ (Marx) / La sinistra dovrebbe sfidare il modello di solidarietà e di comunità politica all’interno del quale si cela questo segreto vs solidarietà come lealtà al processo cooperativo che forgia una comunità politica unitaria, a prescindere dai conflitti legati allo sviluppo (passato e presente) del capitalismo [capitalismo e globalizzazione] / Lo spettro della migrazione tornerà a tormentare e a confondere la sinistra impedendo l’emergere di una vera alternativa

Parafrasi in stile accademico degli appunti realizzata con Microsoft Co-pilot

Undici tesi sulla cittadinanza nello Stato capitalista

Le dinamiche della cittadinanza nello Stato capitalista possono essere analizzate attraverso due concezioni fondamentali della comunità politica. Da un lato, vi è un’interpretazione progressista e civica, che promuove l’inclusione universale e la trasformazione democratica; dall’altro, una concezione etnico-culturale, caratterizzata da principi esclusivi e conservatori. Storicamente, le battaglie per l’ampliamento della cittadinanza e del diritto di voto hanno rappresentato strumenti di emancipazione per gruppi marginalizzati, tra cui lavoratori, donne e popolazioni coloniali. Tuttavia, nel tempo, la cittadinanza si è evoluta da mezzo di tutela per i più vulnerabili a strumento per rafforzare le divisioni economiche, sociali e culturali.

All’interno del pensiero socialdemocratico, la cittadinanza è stata concepita come una forma di partecipazione collettiva, paragonabile a quella di un’impresa cooperativa volta al bene comune. Tale visione contrastava con approcci politici dogmatici, privi di compromesso. La storia dimostra che i movimenti progressisti hanno favorito un’espansione della cittadinanza, eliminando barriere legate alla proprietà, alfabetizzazione e competenze tecniche. Tuttavia, il passaggio dall’era della cittadinanza espansiva a quella restrittiva ha determinato una crescente esclusione sociale, con istituzioni incapaci di moderare i conflitti di classe.

Oggi, l’ideale inclusivo della democrazia è sostenuto da movimenti progressisti e socialdemocratici, mentre una visione restrittiva considera la cittadinanza come una merce, accessibile solo a chi possiede determinati requisiti economici e culturali. Le politiche migratorie rafforzano tali disuguaglianze, ostacolando l’integrazione attraverso test di competenza e criteri economici selettivi. Questa trasformazione della cittadinanza, da diritto universale a privilegio esclusivo, riflette una tendenza verso la consolidazione di un’elite oligarchica.

Le restrizioni alla cittadinanza servono a mantenere un ordine economico funzionale al capitalismo, limitando l’accesso ai diritti politici per coloro che dispongono di minori risorse. Inoltre, le politiche di integrazione differenziano gli immigrati sulla base della loro produttività e competenze, favorendo i più qualificati e relegando i meno abbienti a posizioni marginalizzate. Questo processo si intreccia con il declino dei sindacati e l’ascesa dei partiti populisti, riducendo la rappresentanza politica di gruppi vulnerabili.

Infine, le critiche alla libertà di movimento e alle politiche migratorie spesso si basano su due premesse: la presunta incompatibilità tra immigrazione e sostenibilità del welfare state e la centralità dello Stato come unità di analisi nella distribuzione dei benefici. Tuttavia, le evidenze empiriche suggeriscono che i migranti contribuiscono positivamente alle economie delle democrazie liberali. La crescente enfasi sull’identità culturale e sulla nazionalità, a scapito delle questioni di classe, minaccia l’ideale democratico della cittadinanza, sostituendo la mobilitazione politica con una logica di esclusione.

2-Classe sociale, migrazione e integrazione

La relazione tra classe sociale, migrazione e integrazione solleva interrogativi fondamentali riguardanti l’equità e la distribuzione delle risorse all’interno degli Stati contemporanei. Per garantire una coesistenza armoniosa tra cittadini e immigrati, è necessario un accordo che riconosca le rivendicazioni di entrambi i gruppi, evitando una polarizzazione eccessiva tra politiche di frontiere aperte e protezione del welfare state. Le differenze socioeconomiche tra immigrati e nativi evidenziano che gli oneri dell’ammissione e dell’integrazione non ricadono uniformemente su tutti: esistono immigrati e cittadini economicamente privilegiati, così come individui meno abbienti che affrontano ostacoli significativi all’inserimento sociale.

Le politiche di ammissione basate su un sistema di punti, adottate in Paesi come Canada, Australia, Danimarca, Regno Unito e Germania, favoriscono l’ingresso di individui con competenze specifiche e alto potenziale produttivo, consolidando un approccio selettivo alla cittadinanza. Questo modello, sebbene finalizzato alla crescita economica, rischia di escludere categorie vulnerabili e di perpetuare le disparità strutturali. Parallelamente, il declino dei sindacati e l’emergere di partiti populisti hanno indebolito la capacità di rappresentanza politica di lavoratori e cittadini privi di risorse adeguate, contribuendo alla frammentazione sociale.

I conflitti distributivi legati all’immigrazione dovrebbero essere interpretati non come problematiche isolate, ma come espressione di una oppressione condivisa tra cittadini vulnerabili, siano essi nativi o migranti. L’attuale dibattito è influenzato da due premesse ricorrenti tra i critici della libertà di movimento: la presunta incompatibilità tra l’immigrazione e la sostenibilità del welfare state e l’assunto secondo cui lo Stato debba rappresentare l’unità di analisi primaria nella distribuzione dei benefici. Tuttavia, dati empirici dimostrano che i migranti spesso contribuiscono positivamente alle economie liberali, compensando il calo demografico, colmando lacune occupazionali e apportando valore al capitale umano locale.

Nonostante questi fattori, l’ideale cosmopolita delle frontiere aperte fatica a mobilitare politicamente la classe lavoratrice, in particolare quei cittadini che percepiscono l’immigrazione come una minaccia alla propria sicurezza e stabilità economica. Tale percezione è frequentemente plasmata da narrazioni politiche di matrice ultraconservatrice. Inoltre, un’analisi più ampia potrebbe superare la prospettiva statale e abbracciare una visione transnazionale o cosmopolitica della cittadinanza, ridefinendo il concetto di inclusione e partecipazione democratica.

Infine, il declino dell’ideale di cittadinanza democratica si manifesta nel progressivo spostamento dell’attenzione dai diritti di classe alla centralità delle identità culturali e linguistiche. Storicamente, le lotte per l’estensione del suffragio hanno rappresentato un baluardo contro l’esclusione sociale; tuttavia, l’attuale insistenza su criteri linguistici e culturali rischia di rafforzare strutture di discriminazione e marginalizzazione, minacciando i principi fondativi della democrazia inclusiva.

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La sinistra tra solidarietà civica e solidarietà di classe

Nel dibattito contemporaneo, la sinistra si trova a confrontarsi con un dilemma essenziale: la tensione tra il sostegno al welfare state e la gestione dell’immigrazione su larga scala. Secondo questo ragionamento, fenomeni migratori intensi genererebbero conflitti su due dimensioni: quella distributiva e quella culturale, determinando così un’erosione sia della solidarietà sociale sia della giustizia in termini di equità. Sul piano distributivo, l’arrivo massiccio di migranti intensifica la competizione per l’accesso a risorse fondamentali quali il mercato del lavoro, l’assistenza sanitaria, l’alloggio e l’istruzione, minando la posizione dei cittadini più vulnerabili, che dipendono dai sussidi statali per garantirsi una vita dignitosa. Sul piano culturale, invece, l’immigrazione di ampia portata sarebbe in grado di introdurre divisioni e conflitti identitari, indebolendo i rapporti di fiducia e il senso di appartenenza necessari per il consolidamento della democrazia all’interno dei paesi accoglienti. Di conseguenza, la concezione tradizionale di solidarietà, intesa come riconoscimento reciproco attraverso la partecipazione democratica, risulta messa in discussione, così come il principio di giustizia sociale, inteso da molti come l’equità nell’accesso alle opportunità politico-sociali.

La risposta dei progressisti a tale dilemma ha portato a una riflessione sui vari modelli di appartenenza politica, considerati strumenti per fronteggiare le pressioni derivanti dalla globalizzazione. Le principali strategie proposte si fondano su una rivisitazione del concetto di solidarietà, superando il tradizionale legame con il solo stato-nazione e abbracciando prospettive più ampie. In particolare, si distinguono due modelli: quello della solidarietà multiculturale e quello della solidarietà transnazionale. Il primo, adottato in contesti come Canada e Regno Unito, sostiene che una comunità politica diversificata non debba imporre l’assimilazione dei gruppi culturali differenti, ma piuttosto riconoscerne le specificità, permettendo loro di perseguire stili di vita distinti e di mantenere proprie norme culturali e linguistiche. Il secondo, di natura sovranazionale, si fonda sull’idea che, a fronte delle limitazioni imposte dalla globalizzazione, sia necessario un coordinamento delle politiche di cooperazione a livello regionale o transnazionale (come nel caso dell’Unione Europea) per promuovere e tutelare diritti umani e libertà fondamentali. È importante notare, tuttavia, che il sostegno a queste forme di solidarietà ha spesso avvenuto a scapito di un terzo modello, quello della solidarietà di classe, il quale interpreta la comunità politica come arena di conflitto inerente alle relazioni di potere derivanti dalle strutture economiche, giuridiche e politiche.

Il modello basato sulla solidarietà multiculturale o transnazionale si fonda sul presupposto di un legame di lealtà fra i membri di una cooperativa comunitaria, anche se tale legame si declina diversamente rispetto al tradizionale Stato-nazione, il quale è caratterizzato da una lingua, una storia e una tradizione politica condivisa. Al contrario, negli Stati multiculturali si convivono molteplici lingue, storie e tradizioni, mentre le entità sovranazionali adattano l’ideale di cooperazione libera ed eguale a una sfera che trascende i confini nazionali.

Un ulteriore problema riguarda la natura stessa dello Stato liberaldemocratico, il quale, anziché essere un campo di vera cooperazione, si è sviluppato parallelamente alle strutture del mercato globale capitalista, contribuendo a radicare asimmetrie nella distribuzione della proprietà e nella concentrazione del potere. Ciò ha portato a un riconoscimento formale dei diritti e dei doveri, senza però garantire benefici sostanziali alle fasce più vulnerabili della popolazione, tra cui donne, lavoratori e minoranze etniche, sia a livello nazionale sia internazionale.

Nel modello di appartenenza basato sul conflitto di classe, la comunità politica viene concepita come uno spazio di scontro tra gruppi con differenti posizioni di potere, posizione che scaturisce dalla strutturazione stessa delle condizioni materiali e dalle asimmetrie storiche nella distribuzione delle risorse. Le classi sociali, dunque, non devono essere intese come mere aggregazioni accidentali, ma come il risultato di processi storici e strutturali che influenzano le dinamiche di potere.

Infine, prendendo spunto dalla lettera di Marx a S. Meyer e A. Vogt, si osserva come nei centri industriali l’operaio nativo tenda a identificarsi con il proprio Stato e, di conseguenza, a utilizzare tale identità come strumento per legittimare la propria posizione all’interno della società, opponendosi agli immigrati. Quando i partiti e i movimenti di sinistra accettano questa interpretazione, adottano implicitamente una visione dello Stato quale sistema unitario di cooperazione, trascurando così le dinamiche conflittuali che emergono dalla contrapposizione di interessi e che sono intrinseche al concetto di classe.

Il colonialismo è stato concepito non solo come fenomeno geopolitico, ma anche come condizione strutturale che ha consentito all’élite interna di realizzare concessioni ai lavoratori, configurando così dinamiche politiche e sociali ambivalenti. Allo stesso tempo, le migrazioni sono associate a un duplice esito: da un lato, aggravano la condizione dei cittadini vulnerabili, dall’altro, producono vantaggi economici e strategici per le élite. Per comprendere pienamente il capitalismo, è necessario inquadrare i conflitti politici non come scontri tra Stati o gruppi culturalmente eterogenei, ma come lotte intrinseche tra classi sociali. Tale prospettiva rappresenta una delle linee teoriche fondamentali attraverso le quali il pensiero socialista si è differenziato dal precedente paradigma illuminista, il quale individuava nelle nazioni e negli Stati le principali unità di analisi della storia mondiale.

In questo contesto emergono due modelli di solidarietà: un modello basato sulle relazioni di classe e una narrazione liberale che enfatizza l’appartenenza politica, come quella sottesa ai modelli multiculturali e sovranazionali. Dal punto di vista della solidarietà di classe, le configurazioni multiculturali e transnazionali risultano incapaci di affrontare in maniera adeguata i conflitti indotti dalle migrazioni, a meno che non intervengano per colmare le disuguaglianze di potere e risolvere le gerarchie tra le classi sociali, sia all’interno degli Stati che tra di essi. Il modello comunitario di appartenenza politica, infatti, tende a fare affidamento su accordi contrattuali e forme di cooperazione che trascurano le dinamiche di conflitto e di potere, aspetti invece centrali in un’analisi del mercato globale e del ruolo degli Stati nello sviluppo del capitalismo. La storia evidenzia, infatti, che le principali linee di frattura non sono tanto le differenze nazionali quanto le divergenze tra classi sociali, le quali definiscono allineamenti distinti in relazione ai processi globali di produzione e scambio.

Sebbene sia innegabile che gli Stati abbiano il potere di emanare leggi, il peso morale attribuito alla distinzione tra lavoratori migranti e lavoratori nativi risulta secondario se messo a confronto con l’identificazione organica dei lavoratori con la loro causa complessiva all’interno dello Stato ospitante. Tale distinzione appare, infatti, come meramente contingente e priva di rilevanza nell’ambito della lotta di classe. Le conseguenze per la direzione dei partiti di sinistra, che abbandonano un’organizzazione basata su criteri di classe per privilegiare l’appartenenza politica comunitaria, possono essere drammatiche, poiché ciò equivale a schierarsi con le istituzioni statali contro gli stessi lavoratori. La costruzione di un’alternativa fondata sulla solidarietà di classe deve essere perseguita politicamente, riconoscendo sin dall’inizio che un successo elettorale immediato potrebbe rivelarsi illusorio. Se i discorsi di esclusione non vengono sfidati con decisione anche nel breve termine, vi è il rischio di rimanerne prigionieri a lungo termine.

Contrariamente all’idea diffusa, le frontiere aperte non rappresentano una problematica esclusiva dei lavoratori vulnerabili interni, né costituiscono un vantaggio per le élite al potere. Nel contesto capitalistico, i datori di lavoro non privilegiano la libera circolazione delle persone, bensì favoriscono il movimento di individui privi di diritti, in modo da poterli controllare attraverso lo Stato o istituzioni analoghe, che agiscono unilateralmente sulle pratiche di ingresso. In questo modo, sia i migranti sia i lavoratori nativi in posizione precaria diventano sottoposti alla discrezionalità delle élite dominanti. L’ultima posizione che un movimento di sinistra impegnato nella difesa dei lavoratori dovrebbe adottare è quella di sostenere un progetto che rafforza lo Stato capitalistico piuttosto che minarlo.

Il vero problema per i lavoratori nativi non risiede nei lavoratori migranti, ma nello Stato capitalistico, il quale tutela gli interessi delle élite attraverso politiche di gestione dei confini e modelli integrativi che rendono i migranti dipendenti dalle pressioni dei datori di lavoro. Tale dinamica si traduce in tre vulnerabilità condivise tra migranti e nativi: in primo luogo, l’instaurazione di meccanismi di controllo sul lavoro; in secondo luogo, una progressiva minaccia al potere negoziale dei sindacati; e, infine, l’ampliamento di un “esercito di riserva” di lavoratori, concetto di cui si occupava Marx. La capacità dello Stato di governare e dirigere il controllo sui lavoratori rappresenta, secondo Marx, il “segreto” mediante il quale la classe capitalista consolida il proprio dominio.

Pertanto, la sinistra dovrebbe impegnarsi nella sfida al modello di solidarietà e di appartenenza politica, il cui apparato istituzionale riveste il medesimo ruolo nel mantenimento delle disuguaglianze. L’obiettivo deve essere quello di sfidare una forma di solidarietà basata sulla lealtà al processo cooperativo in grado di forgiare una comunità politica unitaria, indipendentemente dai conflitti storici e attuali derivanti dall’assetto del capitalismo e dalla globalizzazione. In assenza di tale sfida, il fenomeno migratorio continuerà a rappresentare uno spettro che confonde e ostacola l’emergere di una valida alternativa politica alla logica dello Stato capitalistico.

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