Et ab hoste consilium: barbarico vs politico (1956)

25- (Carlo Galli) [Per Schmitt, che si colloca nel dibattito sul tragico in dimensioni riduttive] il tragico non è il destino dell’uomo in generale (…) ; per quanto concreto e determinato storicamente, nella sua unicità, il tragico non ha nascita o sostanza, e per esso si può parlare soltanto di URSPRUNG, di scaturigine, cioè dell’emergere di una frattura epocale (si tratta dunque di un concetto relazionale, non sostanziale, proprio come il ‘politico’, a cui del reto è strutturalmente affine) (…) E’ evidente il debito contratto da Schmitt con Walter Benjamin, proprio in relazione al concetto di tragico. Nel Dramma barocco tedesco, infatti, Benjamin distingue fra la classica TRAGÖDIE, in cui l’elemento tragico era fornito dal mito, e il moderno TRAUERSPIEL (letteralmente ‘gioco drammatico triste’, ‘rappresentazione luttuosa’, la cui tragicità è dovuta invece alla storia (…) e l’allegoria moderna , che si sostituisce al simbolo, è proprio la dimensione in cui le cose appaiono nella loro tragica nullità.

28- [Schmitt sfiora appena il tema dell’allegoria riferendosi alla ‘personificazione dello Stato’, che per lui è frutto del soggettivismo rinascimentale. La distinzione schmittiana tra il dramma in Germania e il dramma in Inghilterra è infine un’esplicito rinvio alla teoria del NOMOS, ad una re-interpretazione della storia che differisce, proprio per la sua concretezza e determinatezza, da quella benjaminiana: Schmitt non vuole essere inserito in una filosofia della storia di respiro metafisico.

30 Già nel 1938 (lo stesso anno di pubblicazione di Homo ludens) Schmitt aveva risposto indirettamente a Huizinga ribadendo, sotto il profilo politico che allora gli interessava, che oltre alla guerra agonale (in cui il nemico è un PARTNER indispensabile, richiesto dallo stesso agire bellico) esiste anche la guerra come STATUS, in cui il nemico è presupposto come tale, è esistenzialmente e primariamente nemico, e che, inoltre, gli elementi ludici della politica (la formalizzazione della guerra in un PLAY evolventesi in FAIR PLAY: in ogni caso Schmitt esclude che la politica sia GAME, del tutto priva di conflitto) come ad esempio la umanizzazione e la razionalizzazione della guerra nel diritto internazionale , sono dipendenti come elementi secondari, politico-statuali, dalla vicenda storica del “politico”. (…) Insomma, lo studioso che ha sostituito la nozione di NORMALITA’ con quella di ECCEZIONE come centro del procedimento scientifico, che ha mostrato come l’ordine contenga AB INITIO il disordine, sottolinea con forza che quell’eccezione e quel disordine sono la ‘serietà’ , il dato primario, la tragicità: il tempo che irrompe nel gioco è il tempo del nomos, proprio perché il nomos stesso contiene in sé la frattura originaria, perché il nomos è ri-volgimento, ri-orientamento, non tempo-spazio disteso e lineare (anche se così si è progettato), sì invece epocale, e dunque tragico nel suo originarsi.

51 – [Ci sono diversi testi a stampa dell’Amleto, con diverse posizioni della madre verso Amleto] (…) La madre [di Amleto] deve essere lasciata esclusivamente ai suoi rimorsi di coscienza. Strano dramma di vendetta! Così quando in seguito, nella camera della regina (…) Amleto si appella troppo duramente alla coscienza della madre, riappare improvvisamente lo spirito, che ancora una volta ribadisce al figlio il doveroso compito della vendetta, ma nello stesso tempo richiama Amleto alla delicatezza verso la madre. Così questa viene accuratamente esclusa dal nucleo drammatico dell’opera, che è appunto la missione di vendetta. [Schmitt tralascia tutte le interpretazioni che utilizzano l’opera solo per comprovare alcune teorie generali.

60- La straordinaria trasformazione del tipo del vendicatore [l’Amleth della saga nordica], la torsione e la frattura nel carattere dell’eroe di un dramma di vendetta, il brusco e sorprendente volgere ad una debolezza indotta da un eccesso di riflessione , tutto ciò diventa comprensibile, in primo luogo, a partire dalla situazione storico degli anni 1600-1603, e dalla figura centrale del tempo, il re Giacomo [figlio della cattolica Maria Stuarda, a cui Shakespeare si riferisce con una serie di allusioni: 65- la problematicità della figura del vendicatore è del tutto originata dalla coeva presenza di questo figlio di Maria Stuarda. In Giacomo, un re incline a interessi filosofici e teologici, si incarna infatti tutta la lacerazione di un’epoca, di un secolo di scismi religiosi e di guerre civili confessionali] /64- Accanto alle fuggevoli allusioni e ai veri rispecchiamenti, esiste ancora un terzo e potentissimo tipo di incidenza della contemporaneità sul dramma: si tratta di autentiche IRRUZIONI, che determinano la struttura dell’opera. (…) A queste irruzioni appartengono sia la questione della complicità di Maria Stuarda nell’omicidio del padre di Giacomo, sia la trasformazione della figura del vendicatore, riguardo al re Giacomo [Amleto/Giacomo e Amleto/Essex? Nonostante tutto Giacomo Stuart fu di tutta la sua stirpe uno dei pochi che riuscì a morire oltre i 50 anni di morte naturale sul trono].

81- Proprio il termine tedesco SPIEL presenta un’infinità di aspetti e rivela la possibilità di accezioni anche antitetiche. Un uomo che -seguendo le note di uno spartito, manoscritto o stampato- tocchi col suo archetto il violino, soffi nel flauto o batta sul tamburo, definisce tutto ciò che, seguendo le sue note, viene così facendo, in un modo solo: ‘suonare’ (SPIELEN). Chi colpisce un pallone secondo regole determinate afferma di ‘giocare’ (e parimenti usa il verbo SPIELEN). Piccoli fanciulli e vivaci gattini ‘giocano’ in modo particolarmente intenso e lo stimolo a giocare deriva dal fatto che NON giocano secondo regole rigide, ma in tutta libertà. Così (…) tutto l’ambito del possibile, incluse anche tutte le possibili contraddizioni, viene ricondotto al concetto di SPIEL. / Rispetto a tale soluzione indeterminata, restiamo dell’opinione che, -almeno per quanto riguarda noi miseri mortali- nel gioco c’è la negazione radicale del caso serio. (…) Si potrebbe dire che all’essenza del gioco pertiene di non lasciarsi includere in un sistema secondario, proprio come, al contrario, il sistema secondario è un ambito di regole di gioco che escludonol’irruzione dell’accadimento tragico, e lo percepiscono solo come disturbo, nella misura in cui, in generale, sono ancora in grado di accorgersene. Per lo Stato come sistema secondrio (cfr Excursus II). Forse si troverà un giorno un legislatore che -tralasciando il rapporto fra gioco e libertà e fra libertà e tempo libero- formulerà questa semplice definizione legale: gioco è tutto ciò che un uomo intraprende, nell’ambito del tempo libero a lui legalmente spettante, per occuparlo e organizzarlo.

83- La teatralizzazione barocca della vita era, nell’Inghilterra elisabettiana di Shakespeare, ancora elementare e priva di vincoli. Non era ancora inquadrata nella rigida cornice della sovranità statuale e nei saldi confini di quella pace, di quella sicurezza, di quell’ordine che lo Stato sovrano pubblicamene produceva e garantiva, come invece avveniva nel teatro di Corneille e di Racine nella Francia di Luigi IV. In confronto a questo teatro classico, il dramma (Spiel) shakespeariano è -sia sul versante comico sia su quello luttuoso- brutale ed elementare, barbarico e non ancora politico, almeno nel senso statuale della parola, che era allora quello vigente (Cfr Excursus II). In quanto teatro elementare, tanto più esso era una componente della realtà contemporanea, un brano d’attualità in una società che sentiva il proprio operare in grande misura come teatro: non c’era perciò particolare contrasto fra il presente dell’opera rappresentata e l’attualità vissuta del presente sociale. La società se ne stava anch’essa sul palcoscenico: il gioco drammatico rappresentato sul palcoscenico poteva dunque apparire, senza particolari artifici, come teatro nel teatro, come dramma vivente interno al dramma immediatamente presente nella vita reale. Il dramma teatrale poteva potenziarsi come tale, senza separarsi dall’immediata effettualità della vita. Fu così possibile un duplice potenziamento, lo spettacolo nello spettacolo che ha trovato una prodigiosa realizzazione nel III atto di Amleto. (…) Questo spettacolo nello spettacolo è qualcosa di ben diverso da uno sguardo dietro le quinte. Soprattutto non lo si può confondere con quel tipo di rappresentazione, sorto nel XIX sec. con gli inizi della rivoluzione sociale, che ha per protagonisti gli attori stessi , nel quale le quinte vengono lacerate , si strappa via la maschera dalla scena e l’attore si presenta nella sua nuda umanità, oppure come membro della classe oppressa. Così, nel XIX, sec. Dumas padre fece del celebre attore shakespeariano Edmund Kean, l’eroe di un’opera teatrale, e, ancora nel nostro secolo, pochi anni fa, Sartre ha ripetuto l’impresa, senza che vi fossero grandi differenze.

84- [Nel III atto dell’Amleto] L’attore che declama davanti ad Amleto la morte di Priamo, piange per Ecuba. Ma Amleto non piange per Ecuba; con un po’ di stupore, egli scopre che vi sono uomini i quali, nell’esercizio della loro professione, piangono per cose a cui, nella realtà effettuale della loro esistenza e nella loro vera condizione, sono del tutto indifferenti, per cose, cioè, che non li riguardano. Amleto si avvale di questa esperienza per rimproverarsi aspramente, per riflettere sulla propria condizione e per sospingersi ad agire, ad adempiere la propria missione di vendetta. Non è pensabile che in Amleto Shakespeare avesse come unica intenzione di fare del suo Amleto un’Ecuba, di farci piangere su Amleto come l’attore piange sulla regina di Troia. Ma noi finiremmo davvero col piangere allo stesso modo per Amleto come per Ecuba, se volessimo separare la realtà della nostra esistenza presente dalla rappresentazione teatrale. Le nostre lacrime sarebbero in tal modo lacrime di attori. Non avremmo più nessuna causa e nessuna missione e le avremmo sacrificate per godere del nostro interesse estetico al gioco del dramma. Ciò sarebbe grave , poiché dimostrerebbe che a teatro abbiamo altri dei che al fòro o sul pulpito./ Il teatro nel teatro dell’atto III dell’Amleto non è uno sguardo dietro le quinte, ma al contrario è lo spettacolo stesso, per una volta DAVANTI alle quinte. (…) Soltanto un fortissimo nucleo di attualità sopporta la doppia messa in scena di un teatro nel teatro [senza diventare una parodia artificiosa di se stesso. L’opera Amleto principe di Danimarca, non si risolve in un gioco senza residui] la sua unità di tempo, luogo e azione non è conchiusa, e non dà luogo a un processo autosufficiente. Presenta anzi due grandi varchi, attraverso i quali irrompe un tempo storico nel tempo ludico: e l’imprevedibile flusso di sempre nuove possibilità interpretative (…) 87- [Le implicazioni storico-politiche, le allusioni e i rispecchiamenti] hanno fatto sì che il personaggio teatrale di Amleto sia potuto diventare un autentico mito, e pertanto sono un PLUS, poiché hanno elevato il Trauerspiel a tragedia. / La vera tragedia ha, nei confronti di ogni altra forma artistica, anche del Trauerspiel una qualità particolare e straordinaria che non è raggiungibile da nessun dramma, per perfetto che sia, e a cui del resto nessun dramma -sempre che sia consapevole bene di sé e della propria essenza di gioco- pretende neppure di giungere. Questo plusvalore consiste nella realtà oggettiva dell’accadimento tragico, nel concatenamento enigmatico e nell’intreccio indissolubile di uomini indiscutibilmente reali. Su ciò si basa la grave serietà, non passibile di congetture, né relativizzabile, dell’accadimento tragico, che di conseguenza non può neppure essere rappresentato come gioco drammatico. Tutti i partecipanti sanno di una realtà ineluttabile, non escogitata dal cervello umano, che, provocata dall’esterno, è accaduta e resta ben presente. L’ineluttabile realtà effettuale è la nuda roccia contro la quale si infrange il gioco del dramma e si solleva spumeggiando la marea dell’autentica tragicità.

90- Io non credo che le conoscenze storiche possano sostituire il mito. Il dramma shakespeariano è un Trauerspiel, e non è giunto al mito. Come è noto Schiller ha meditato molto su questi argomenti ed ha sviluppato una sua filosofia della dimensione ludica: l’arte è per lui l’ambito dell’autonoma apparenza, ed è soprattutto nel gioco che l’uomo si fa uomo, che perviene -dall’auto-estraneazione- alla propria dignità. Sulla scorta di una simile filosofia la dimensione ludica è necessariamente superiore all’ambito della serietà. Seria è la vita, serena è l’arte; sì, va bene, con allora la seria effettualità dell’azione umana finisce con l’essere soltanto la ‘sporca realtà’, e la serietà è sempre sul punto di diventare ‘animalesca’. L’autonoma e superiore sfera ludica è così giocata contro la serietà e contro la vita. Gli spettatori tedeschi del XIX secolo , assistendo ai drammi di Schillera -ormai divenuti classici- riguardano la storia del mondo come un teatro del mondo, e si godono questo spettacolo in forma di privato arricchimento spirituale.

92- Si danno dunque due fonti dell’accadere tragico: l’una, nel caso della tragedia classica, è il mito, per la cui mediazione viene tramandato l’avvenimento tragico; l’altra -è il caso di Amleto- è costituita dal presente storico effettuale, che, come dato attuale e privo di mediazioni, accomuna il poeta, gli attori, gli spettatori. Mentre la tragedia antica incontra il mito già formato e da quello trae creativamente l’avvenimento tragico, nel caso di Amleto si è verificato l’esito insolito, e tuttavia tipicamente moderno, che il poeta abbia dato origine a un mito a partire dalla realtà immediatamente incontrata. Né nell’antichità, né nell’epoca moderna il poeta si è inventato l’avvenimento tragico. Accadere tragico e libera invenzione sono incompatibili tra loro e si escludono a vicenda. /93- L’ineguagliabile grandezza di Shakespeare sta dunque nel fatto che egli -mosso dal timore e dal rispetto, guidato dal tatto e dagli scrupoli- ha saputo cogliere ed estrapolare , dalla disordinata molteplicità dell’attualità politica quotidiana , proprio quell’immagine che era suscettibile di essere elevata a forma di mito. Che gli sia occorso di afferrare il cuore di una reale tragicità e di attingere il mito, è stato il compenso per quel timore e per quegli scrupoli che gli hanno fatto rispettare il tabù e che li hanno fatto trasformare in un Amleto la tradizionale figura del vendicatore.

112- Il dramma di Shakespeare non è più cristiano, ma non è neppure avviato verso la prospettiva dello Stato sovrano dell’Europa continentale, il quale, proprio perché traeva origine dal superamento delle guerre civili di religione, doveva essere neutrale sotto il profilo confessionale e, anche se riconosceva una religione di Stato e una chiesa di Stato, lo faceva in base alla sua sovrana decisione statuale. (…) Mi sembra che W. Benjamin dia poco peso alla differenza che intercorre fra la situazione complessiva dell’Inghilterra insulare e quella dell’Europa Continentale. (…) [Il nucleo dell’opera Amleto] non è comprensibile a partire da categorie proprie della storia dell’arte e della storia delle idee, come ‘rinascimento’ e ‘barocco’. Con un’antitesi ad effetto, penetrante e concisa, si può caratterizzare quella differenza -tanto pregnante e sintomantica per la storia spirituale del concetto di ‘politico’- come l’antitesi di barbarico e di politico.[ Il ‘politico’ traduce qui il neutro das Politische, termine chiave che del pensiero schmittiano che indica l’antitesi amico/nemico come dato elementare di ogni azione politica, da distinguersi nettamente, sotto il profilo concettuale, da politico (politisch) come aggettivo riferito allo Stato moderno nella sua forma classica. Appartiene alla storia ‘del politico’ di venire neutralizzato e identificato, tendenzialmente senza residui, nello Stato politico, rispetto al quale ogni elemento non statuale o prestatuale non può apparire che come barbarico.] / Il dramma shakespeariano rientra nella prima fase della rivoluzione inglese, se questa la facciamo cominciare – come è possibile e sensato- dalla distruzione dell’Armada (1588) e terminare con la cacciata degli Stuart (1688). Durante questi cento anni sul continente europeo si sviluppa , dalla neutralizzazione delle guerre civili di religione, un nuovo ordine politico, lo Stato sovrano, un imperium rationis, come lo chiama Hobbes, ovvero, come afferma Hegel, un regno -non più teologico- della ragione oggettiva, la cui ratio pone fine all’epoca degli eroi, al diritto eroico, alla tragedia eroica (…)La secolare guerra tra cattolici e protestanti poteva essere superata solo detronizzando i teologi , che riattizzavano continuamente la guerra civile con le loro dottrine del tirannicidio e della ‘guerra giusta’. Al posto dell’ordine medievale, feudale o cetuale, si affermarono la pubblica sicurezza, la pace e l’ordine pubblico: la nuova immagine dello Stato si legittima appunto nell’opera di creazione e di conservazione di questa nuova forma di pace e di ordine. Sarebbe inammissibile, e produrrebbe soltanto confusione, designare come Stato qualsiasi altro tipo di comunità, di sistema o di ordinamento politico della storia mondiale. Quei pensatori che non più dalla Chiesa ma dallo Stato si attendevano la salvezza dalla disperazione delle guerre civili di religione [per es. Bodin]si chiamarono in Francia politiciens, e davano al termine un valore specifico e pregnante. STATO SOVRANO E POLITICA STANNO AD INDICARE UN’OPPOSIZIONE RISPETTO ALLE FORME E AI METODI MEDIEVALI DI UN POTERE ECCLESIASTICO E FEUDALE. In questa situazione il termine POLITICO viene ad assumere un significato polemico, e quindi concreto, in contrapposizione al termine BARBARICO. Per usare il linguaggio di Hans Freyer (…) un sistema secondario soppianta ordinamenti elementari e primari che funzionano male. Questo Stato moderno trasforma i gruppi armati, il buon ordine antico, la mera sussistenza e il ‘buon diritto’ in organizzazioni che lo caratterizzano in quanto STATO: esercito, polizia, finanza e giustizia. È grazie a queste istituzioni che lo Stato riesce a creare quelle condizioni che esso stesso definisce pace, sicurezza, ordine pubblico e a stabilizzare una situazione generale e di diffusa di controllo di ‘polizia’. Politica, polizia e politesse[= cortesia < franc.] divengono così il singolare tiro a tre del progresso moderno, in contrapposizione al fanatismo ecclesiastico e all’anarchia feudale, e, in breve, alla barbarie medievale. /Solo all’interno di questo Stato sovrano può nascere il teatro classico di Corneille e Racine con la sua classica – o piuttosto giuridica o, megli ancora, legalistica, unità di luogo, tempo e azione. [Voltaire definisce shakespeare un ‘selvaggio ubriaco’]

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